Droghe. Nella Relazione al Parlamento il proibizionismo che non funziona

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A distanza di 28 anni dall’approvazione del Testo Unico sulle sostanze stupefacenti possiamo dirlo con forza: quell’approccio fatto di proibizionismo e criminalizzazione ha fallito.
Lo possiamo dire forti dei dati ufficiali che arrivano dal Dipartimento delle Politiche Antidroga, riportati nella Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia – Anno 2018, pubblicata venerdì scorso con qualche mese di ritardo rispetto al dovuto.

Il proibizionismo ha ingrassato le mafie. Leggendo la Relazione scopriamo che ancora una volta le attività economiche connesse al mercato delle sostanze psicoattive illegali rappresentano circa il 75% di tutte le attività illegali e pesano per circa lo 0,9% sul PIL, ovvero quasi 15 miliardi di euro. Soldi che ovviamente finiscono nelle tasche delle grandi organizzazioni criminali che, da questo mercato, recuperano risorse che poi investono in altre attività illecite. Il consumo di cannabis vale il 28% di questa somma, quindi di per sé arricchisce le mafie con circa 4 miliardi di euro ogni anno.
La legalizzazione della sola cannabis toglierebbe queste risorse ai gruppi criminali, portandole allo Stato in termini di tassazione.

Il proibizionismo distrae l’attenzione e i fondi delle forze dell’ordine. A leggere la relazione si scopre come il dato dei sequestri sia in aumento. Il 95% di questi ha riguardato cannabinoidi, il 4% cocaina e il restante 1% tutte le altre sostanze. Questo significa che le forze dell’ordine sono impiegate per lo più nella ricerca di una sostanza che in quanto ad impatto sulla salute ha effetti negativi minori rispetto a sostanze attualmente legali (alcol e tabacco) e che ormai numerosi stati nel mondo hanno deciso di legalizzare. La Relazione non ci dice quanto costi questa attività di polizia. Sappiamo però da passate edizioni che dal 2008 al 2013 drenavano circa 180 milioni all’anno. Legalizzare la cannabis e depenalizzare le altre sostanze avrebbe dunque come effetto quello di liberare risorse – economiche e umane – per perseguire crimini violenti, maggiormente impattanti e garantire un maggiore controllo del territorio.

Il proibizionismo rallenta i tempi della giustizia e incide sul sovraffollamento penitenziario. Il cambio di politiche sulle droghe permetterebbe di decongestionare anche carceri e tribunali. Stando alla Relazione, infatti, sono in aumento i procedimenti penali pendenti per reati di produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti (art. 73 DPR n. 309/1990) che sono stati 81.665 ed hanno coinvolto 166.301 persone. In crescita anche le segnalazioni per art. 75 DPR n. 309/1990 che hanno coinvolto 38.614 persone, di cui il 93% di genere maschile e il 73% con meno di 30 anni. Anche in questo caso la sostanza che la fa da padrona è la cannabis, causa del 79% delle segnalazioni per uso personale.
Aumenta in termini di presenze il numero dei detenuti presenti nelle carceri italiane per reati previsti dall’art. 73 che, va ricordato, punisce per lo più spaccio e coltivazione, mentre a punire il traffico internazionale è l’art. 74 del DPR n. 309/90. In generale i presenti per reati legati alle politiche sulle droghe continuano ad essere un terzo del totale della popolazione carceraria che sta tornando ai livelli che ci costarono la condanna europea. Inoltre, nel 2017, 4.055 soggetti sono entrati nel circuito della Giustizia Minorile per reati di produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, un terzo dei quali per la prima volta. 163 sono stati i nuovi ingressi registrati negli istituti penali per i minorenni a causa di reati droga-correlati.
Anche in questo caso, cambiare le politiche sulle droghe, ci permetterebbe di liberare circa 1 miliardo di euro l’anno di risorse che potrebbero essere utilizzate per la prevenzione e le politiche di riduzione del danno che in Italia non hanno ricevuto spazio e sostegno economico adeguato.

Un fenomeno di massa che va governato. La risposta penale insomma, è evidente, non è riuscita a raggiungere nessuno degli obiettivi si era prefissata. Non sarà una nuova politica di tolleranza zero, più cani nelle scuole, più polizia per le strade – come hanno più volte preannunciato alcuni esponenti di questo governo – a cambiare questo quadro. L’Istat nel 2015 ha stimato il numero di utilizzatori di cannabis in 6,2 milioni di persone. Che piaccia o meno il consumo di cannabis è un fenomeno di massa che coinvolge più del 10% della popolazione italiana. Per questo le politiche repressive non sono riuscite a fermarlo. Dovremmo avere il coraggio, la lucidità e la razionalità di capire che sarebbe molto più utile oggi mettere in campo politiche che si interroghino su come governare e regolamentare questo fenomeno, anziché perpetrare nel tentativo di arrestarlo. Ne andrebbe dell’interesse di tutti: società e consumatori.