I lavori della 61esima CND e il ruolo della società civile

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Dal 12 al 16 marzo scorsi, si sono svolti a Vienna i lavori della Commission on Narcotic Drugs (CND), riunita in sessione annuale per la 61esima volta.

Da quando nel 1991 l’Assemblea Generale dell’Onu ha esteso le competenze della Commissione, rendendola l’organo direttivo dell’UNODC (Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine), le riunioni annuali sono diventate uno dei momenti centrali nella costruzione delle future politiche sulle droghe.

I membri della Commissione, infatti, possono fornire indicazioni politiche in grado di incidere sulla revisione e l’applicazione delle Convenzioni Internazionali sulle droghe e, allo stesso tempo, possono approvare l’inserimento o la cancellazione di sostanze dalle tabelle di dette convenzioni.
Semplificando, è grazie alle decisioni della Commissione se determinati farmaci e sostanze sono considerati legali – e quindi reperibili – o vietati e quindi soggetti a restrizioni.

I lavori dell’ultima seduta della Commission on Narcotic Drugs acquisiscono importanza maggiore alla luce del Meeting Ministeriale di alto livello convocato a Vienna per l’anno prossimo e ci permettono di fare il punto su quasi 20 anni di War on Drugs.

Il Fallimento della War on Drugs

Un mondo senza droghe, possiamo farcela” era questo il titolo della Dichiarazione Politica conclusiva approvata dalla Sessione Speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla droga (Ungass, United Nation General Assembly Special Session on the World Drug Problem) riunita a New York nel 1998. La Dichiarazione fissò l’obiettivo utopico di ridurre significamente la produzione di oppio, coca e cannabis entro 10 anni. Nel 2009 lo stesso obiettivo viene confermato, anche se il termine ultimo entro cui raggiungerlo viene posticipato al 2019.

Sul piano pratico, le decisioni dell’Assemblea, si sono tradotte in maggiore repressione e guerra al narcotraffico: sono questi gli anni degli interventi armati per distruggere le coltivazioni – vedi Plan Colombia – e, più in generale, dell’intensificarsi a livello globale della War On Drugs già iniziata nei decenni precedenti.

Negli stessi anni si è assistito anche al fallimento degli obiettivi dichiarati: il mercato delle droghe non ha conosciuto crisi, la criminalità organizzata ha ampliato i suoi traffici e centinaia di migliaia di individui hanno scontato sulla propria pelle politiche sulle droghe sempre più repressive.

A fronte degli evidenti insuccessi, nel 2016, i Governi di Guatemala, Colombia e Messico, tre tra i paesi più colpiti dal narcotraffico, hanno chiesto un vertice straordinario per ridiscutere un cambio di strategia. È così che nell’aprile del 2016 si è svolto a New York Ungass 2016.

Nonostante partisse sotto l’auspicio di un rinnovamento radicale delle politiche sulle droghe, il vertice del 2016, non ha prodotto grandi cambiamenti rispetto al passato: nel documento finale ad esempio, non trovano spazio temi quali la condanna alla pena di morte per reati di droga, o il riconoscimento dell’importanza della riduzione del danno.

Eppure, a fronte degli evidenti limiti e della continuità con il passato, alcune interessanti novità possono riscontrarsi nella promozione di un approccio “multidisciplinare”, non basato cioè solo sulle operazioni di polizia, ma “integrato, mutuale, bilanciato e basato sull’evidenza scientifica”, e nella possibilità per gli Stati di progettare e attuare politiche sulle droghe nazionali secondo le loro priorità ed esigenze.
Documenti ufficiali a parte, i lavori dell’Assemblea hanno aperto poi una nuova fase di dialogo, in cui le priorità sono state riconosciute nel rispetto dei diritti umani, nella garanzia di accesso alle cure per chi usa droghe – anche se in stato di detenzione – e nell’indicazione che eventuali trattamenti terapeutici per le dipendenze patologiche, non dovessero partire da motivazioni di ordine violento o punitivo.

Photo credit: UNIS Vienna/Lilia Jiménez-Ertl (CC BY-NC-ND 2.0)
Photo credit: UNIS Vienna/Lilia Jiménez-Ertl (CC BY-NC-ND 2.0)

Il ruolo della società civile

I lavori della Commission on Narcotic Drugs di questo marzo, pur partendo dagli spunti positivi dell’ultimo Vertice, risentono molto della situazione politica globale, il cui bilancio in questi ultimi anni è sicuramente in chiaroscuro.

Da un lato è un dato di fatto oggettivo che, dall’aprile del 2016, sempre più nazioni hanno deciso di cambiare le proprie politiche sulle droghe e che, in tutto il mondo, si è registrata la riduzione del numero di condanne a morte per droga.
Dall’altro, non può non far riflettere che un paese come gli Usa – storicamente capofila nelle politiche proibizionistiche –dopo la breve parentesi liberale di Obama, stia tornando, sotto la presidenza Trump, su posizioni più dure, fino a ventilare la possibilità di introdurre la pena di morte per gli spacciatori (già triste realtà nelle Filippine di Duterte, dove i morti si contano a migliaia, anche a causa delle esecuzioni extra-giudiziali).

Non sorprende che contraddizioni così palesi si siano tradotte anche in un impasse nei lavori della Commissione. I rappresentanti delle 53 delegazioni, si sono trovati tiepidamente d’accordo solo sul rispetto dei diritti umani e sulla necessità di ammorbidire gli interventi di prevenzione e cura, ma ad esempio, la risoluzione congiunta presentata da Uruguay e Canada contro lo stigma che colpisce chi consuma droga, è stata discussa tra non poche difficoltà.

Un ruolo fondamentale nell’avanzamento dei lavori della Commissione l’hanno invece avuto le organizzazione della società civile che, durante la riunione, hanno promosso quasi cento side event e che già prima dell’appuntamento di Vienna erano riuscite ad organizzare le proprie richieste.

Ne è un esempio la lettera indirizzata ai direttori della World Health Organization e dell’Undoc, da 188 ong – tra cui la nostra Coalizione – per richiedere un intervento urgente di revisione delle le linee guida sugli standard internazionali per il trattamento dei disturbi da uso di droghe.

E l’Italia?

La società civile ha giocato un ruolo chiave anche nella definizione della posizione del nostro Paese durante i lavori in Commissione.
Con una lettera aperta le ong italiane, avevano esortato il Governo a non ripetere gli errori del passato sostenendo politiche sulle droghe in linea con quelle degli altri paesi europei (nel 2009 l’allora governo italiano aveva rotto la coesione europea e fatto naufragare una posizione comunitaria unitaria) e più rispettose dei diritti umani.

Una positiva inversione di tendenza che includeva la riduzione del danno tra gli interventi fondamentali, condannava la pena di morte e invitava a limitare il ricorso alla pena detentiva per chi usa sostanze, era già stata espressa dalla Ambasciatrice italiana Accili nella plenaria dell’Assemblea Ungass 2016.

Durante il suo intervento alla CND, l’Ambasciatrice ha ribadito questi concetti e ha riconosciuto, tema per niente scontato, l’importanza delle ONG e della società civile nel ruolo di consulenti.

In attesa di Vienna 2019, l’auspicio è che questo riconoscimento possa tradursi in un tavolo di confronto Istituzioni-società civile (sull’esempio di quello del 2016) in grado di contribuire, con il suo apporto, alla riforma delle politiche internazionali sulle droghe e prima ancora in quelle del nostro paese.