La critica all’incarcerazione di massa è su Netflix
Il tredicesimo emendamento (e oltre) su Netflix
Il tredicesimo emendamento della Costituzione Americana è la norma con cui gli Stati Uniti, nel 1865, abolirono la schiavitù e ogni altra forma di costrizione personale. Ma non per tutti. L’emendamento conteneva – e ancora contiene – un’eccezione alla regola abolizionista, nelle parole “se non come punizione di un reato per il quale l’imputato sia stato dichiarato colpevole con la dovuta procedura”, come se la condanna e la detenzione fossero uno spazio costituzionalmente sospeso in cui mantenere intatta la tradizione schiavista.
È questa la suggestione da cui prende il titolo “13th”, il documentario di Ava Du Vernay – la regista di Selma – che racconta attraverso le testimonianze di attivisti dei diritti umani, politici e ricercatori il regime di carcerazione di massa negli Stati Uniti, un mostro fuori controllo i cui numeri riescono solo in parte a rappresentare un’ipertrofia che nasce lontana nel tempo: dall’America coloniale a oggi, secondo Du Vernay è possibile individuare una linea continua di discriminazione razziale che passa attraverso i corpi degli afroamericani e la loro criminalizzazione.
Il sistema di giustizia criminale americano al collasso, tra carcerazione di massa e discriminazioni
Gli Stati Uniti contano oggi 2.309.000 detenuti e il tasso di carcerazione più alto del mondo (693 detenuti per ogni 100.000 persone): più del doppio di quello del Brasile (307), quasi sei volte quello della Cina. L’Italia, in cui persiste una situazione di drammatico sovraffollamento, ha un tasso di carcerazione pari a 89 detenuti per 100.000 abitanti.
La nazione che rappresenta il 5% della popolazione mondiale oggi rinchiude il 25% della popolazione carceraria del pianeta.
Ma il sistema non colpisce in modo indistinto.
Secondo le statistiche un afroamericano su tre nel corso della sua vita probabilmente conoscerà il carcere, contro un rapporto di un bianco su diciassette, e non per una naturale propensione ma per la criminalizzazione sostanziale di un’intera fascia della popolazione.
La disparità nel numero di arresti e di condanne che ne conseguono ha colpito profondamente le comunità nere americane che oggi contribuiscono a questa conta drammatica con quasi 800.000 detenuti.
La mass incarceration sta conducendo il sistema al collasso, con dei costi economici e sociali ormai insostenibili e altissimi tassi di recidiva.
La repressione penale come strumento di oppressione delle minoranze (dalla guerra alle droghe in poi)
Il racconto di 13th muove dalla schiavitù e dalla segregazione razziale come momenti fondativi della democrazia americana, collocando negli anni cinquanta e sessanta la scelta di combattere i movimenti per i diritti civili e le minoranze attraverso la repressione penale. Negli anni settanta Richard Nixon inaugura la stagione del law and order, e le politiche securitarie che si sono susseguite hanno portato un tasso di carcerazione sostanzialmente piatto (circa 357.000 detenuti fino al 1970) a esplodere fino ai numeri attuali. Reagan ha poi trasformato la retorica della guerra alla droga in una guerra vera, combattuta strada per strada nei quartieri poveri, che colpiva fasce della popolazione già fortemente marginalizzate inasprendo le pene per il crack – una droga meno costosa e socialmente meno sofisticata rispetto alla cocaina – e caricando il peso di quella guerra sulla comunità nera.
Il Federal Crime Bill, approvato nel 1994 sotto la presidenza Clinton, che prevedeva enormi investimenti sulla sicurezza, un generalizzato aumento delle pene e incentivi alla costruzione di nuove carceri, ha poi creato la gigantesca infrastruttura che nei vent’anni seguenti verrà nutrita a ritmi esorbitanti.
Three strikes and you’re out, l’insieme di norme che imponevano pene lunghissime agli imputati alla terza condanna; le mandatory minimum sentencing laws, che stabiliscono minimi di pena particolarmente elevati soprattutto per i reati legati agli stupefacenti, e il truth in sentencing perché i condannati per reati violenti trascorressero almeno l’85% della loro pena in carcere, sono alcuni degli strumenti giuridici che hanno consentito di raggiungere gli attuali livelli di mass incarceration, in un sistema processuale di corti federali e statali in cui oltre il 90% dei processi si chiude con un plea bargaining (simile al nostro patteggiamento): si preferisce accettare una pena certa piuttosto che correre il rischio di una condanna draconiana irrogata al termine di un dibattimento davanti a giudice e giuria. I processi che vediamo raccontati nelle serie tv rappresentano una percentuale irrisoria nel sistema processuale americano e anche questo incide sull’equità del sistema, discriminando chi può permettersi il costo di un intero giudizio e chi è costretto a scegliere il rischio minore.
Black Lives Matter
Le tensioni razziali provocate dalle violenze della polizia ai danni di afroamericani, e che hanno provocato una catena di morti – Trayvon Martin, Alton Sterling, Philando Castile, Eric Garner, Michael Brown, per citarne alcuni – hanno fatto esplodere movimenti di protesta come Black Lives Matter, e portato la riforma del sistema repressivo al centro del dibattito per la campagna presidenziale.
Hillary Clinton ha chiesto scusa alle comunità nere così duramente colpite, ammettendo di avere commesso un errore appoggiando il Crime Bill del 1994, a cui lo stesso Bill Clinton attribuisce una parte di responsabilità per la drammatica situazione attuale. Trump invece si propone come il candidato “legge e ordine”, senza timore di rivendicare una continuità con il sistema e la sua criminalizzazione delle minoranze.
L’esistenza di una questione razziale nel sistema penale americano è un dato di fatto, ha affermato la candidata democratica in un discorso tenuto alla NAACP, e 13th ci racconta esattamente questo: un sistema repressivo che contribuisce a reiterare forme di segregazione razziale ritenute oggi inconcepibili, ma ancora possibili.
L’esigenza di una riforma drastica del sistema di giustizia penale americano
La riforma drastica del sistema di giustizia penale è adesso una necessità condivisa da democratici e repubblicani: è disumano, troppo costoso e socialmente devastante. La limitazione della carcerazione, il contenimento del sistema dei mandatory minimum, programmi più efficaci per il reinserimento sociale sono alcune delle riforme tratteggiate dalla presidenza Obama e che il suo successore dovrà decidere se implementare. Si tratta di iniziative politiche di cui potremo misurare l’effetto nel lungo periodo, ma che rischiano di essere inutili, se non si cancella in radice il pregiudizio razziale che caratterizza l’intero sistema.
Andrea Vigani, avvocato. Su Twitter è @chamberlainn.