Athens Democracy Forum: la democrazia in divenire e le politiche col fiato corto

Athens Democracy Forum
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La democrazia è un processo in divenire, non un processo compiuto o un risultato che si raggiunge definitivamente, scrive Serge Schemann, scrittore ed editorialista del New York Times, nei giorni della quarta edizione dell’Athens Democracy Forum, che porta ad Atene politici, pensatori, figure chiave dell’economia, leader spirituali.

E la democrazia non è irreversibile: lo vediamo quotidianamente, messi a confronto con fenomeni politici e sociali di enorme portata – e con le risposte dal fiato corto di molti politici, che scelgono di cavalcare paure e insicurezze popolari, invece di progettare soluzioni di lungo periodo.

Migrazione, religione, potere, denaro: questa edizione dell’Athens Democracy Forum ha indagato temi fondamentali e attualissimi per la tenuta della democrazia.

Inevitabile iniziare con la migrazione, il tema che scuote governi e coscienze e che orienta larga parte del dibattito mondiale.

Il fenomeno migratorio espone politiche col fiato corto

Che fare quando alle porte dell’Europa arrivano centinaia di migliaia di persone in fuga da guerre e povertà? Possiamo “aprire la porta” a tutti? Questa è la domanda con cui parte il panel sulla migrazione, che vede come protagonisti Stavros Lambrinidis, E.U. Special Representative for Human Rights, Lucas Papademos, ex primo ministro greco, e Mario Monti, ex primo ministro italiano.

 

 

Le migrazioni sono una sfida quotidiana per le democrazie occidentali, nonché il banco di prova di valori che si pensavano consolidati dopo la Seconda Guerra Mondiale e il crollo del muro di Berlino. Il tema finisce per mettere a confronto chi ha aperto le porte ai migranti, come la Germania, e chi sceglie di chiuderle, come l’Ungheria – dove tra pochi giorni i cittadini voteranno per decidere se accettare la ripartizione di quote di rifugiati decisa dall’Unione Europea.

Ma la conversazione pubblica emerge fortemente polarizzato e le reazioni riflettono un cambiamento della democrazia, in direzione di un dibattito politico e sociale costantemente tarato sul breve termine, afferma Mario Monti: viviamo, dopotutto, nell’epoca dei 140 caratteri e dei soundbite da 10 secondi, dice l’ex primo ministro italiano (che ha un account Twitter, usato però solo per condividere i propri interventi sui giornali e in tv).

E se i media raccontano una politica fondata sull’approvazione e il clamore quotidiano, fatta di dichiarazioni roboanti che catturino l’attenzione, la politica si esprime adattandosi allo scenario mediatico, fatto di brevità e necessità di far emergere la propria voce dal rumore di fondo. Insomma, un circolo vizioso, in cui l’attenzione è rivolta alla prossima campagna elettorale, al prossimo sondaggio, alla prossima frattura in cui prendere le parti di qualcuno.

Le forze populiste e razziste trovano spesso espressione nell’uomo “forte” (oggetto di un altro dibattito della conferenza), il politico che dichiara di fare gli interessi dei cittadini, contro il “buonismo” e il “politicamente corretto”, creando una divisione “Noi contro gli Altri”, chiedendo una fiducia verso un’azione che non propone soluzioni. E che non guarda al futuro, sottolinea l’ex ministro greco Papademos, ricordando, ad esempio, i benefici di medio-lungo periodo che derivano dall’integrazione di migranti nel mercato del lavoro, specie per Paesi che invecchiano e dall’economia stagnante (e anche in Italia abbiamo studi a riguardo).

Alla ricerca di una sicurezza “sostenibile”

Ma i ragionamenti di questo tipo hanno poco spazio in tempi di attacchi terroristici e in cui i cittadini chiedono risposte, rilancia il moderatore Roger Cohen del New York Times. Cosa fare quando il principale argomento usato contro l’accoglienza è la sicurezza?

Rilanciando l’importanza della tutela dei diritti umani, Lambrinidis riflette su una possibile evoluzione del dibattito sulla sicurezza: così come si è fatto qualche anno fa in termini di sviluppo, bisognerebbe iniziare a pensare in termini di “sicurezza sostenibile”. Per le politiche di sviluppo è stato un passaggio importante, spiega il Rappresentante Speciale per i Diritti Umani dell’UE, perché ci si è resi conto che certe azioni mirate allo sviluppo potevano portare a danni ambientali e alla creazione di diseguaglianze ancora peggiori.

Si può fare dunque un discorso analogo rispetto alla sicurezza, sostiene Lambrinidis, rilanciando: si può avere una sicurezza “sostenibile” quando in Egitto vengono arrestati migliaia di giovanissimi durante le manifestazioni a causa della propria religione, senza alcuna prova che siano un effettivo pericolo per la società? Non è questo un modo per spingerli alla radicalizzazione? Minare il sistema giudiziario, incarcerandoli e togliendo le garanzie di uno stato di diritto, non è un modo di danneggiare qualcosa di cui uno Stato ha bisogno nel lungo periodo?

Un posto al governo o uno nella storia?

La pressione dei flussi migratori e gli sviluppi storico-politici possono cambiare gli equilibri europei, dichiara Papademos, dicendosi piuttosto preoccupato: ci sono diverse crisi di vario tipo e ordine in atto e, tra evidenti diseguaglianze all’interno degli Stati membri e il risultato del referendum sulla Brexit, la coesione dell’Unione Europea è a rischio – forse anche il suo stesso futuro. Sarà particolarmente importante dare risposte alle preoccupazioni di breve periodo sulla crescente disoccupazione, in modo che questo non condizioni l’impatto economico positivo delle migrazioni nel lungo periodo, e condividere le responsabilità dell’accoglienza, in modo che non pesi solo su alcuni Paesi, sostiene l’ex primo ministro greco. Sarà inoltre cruciale lavorare sull’integrazione fiscale ed economica su cui è necessario un dibattito pubblico, conclude.

“Angela Merkel ha sbagliato nella sua politica di accoglienza?”. Così il moderatore Roger Cohen (New York Times) incalza Monti, chiedendogli che consigli darebbe oggi al capo del governo tedesco. Monti replica con un esempio che viene direttamente dalla Germania: “Helmut Kohl è ricordato come colui che ha reso possibile l’euro in Germania e in Europa. Per questo nel 1998 ha perso le elezioni contro Schroder”.

Insomma: un posto nel prossimo governo o un posto nella storia? Sarà la scelta con cui si dovranno confrontare i leader politici europei?

 

[FOTO COPERTINA: Rush Luxury Films]