The 19 Million Project: l’innovazione dei media e la crisi dei rifugiati

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Dal 2 al 13 novembre Roma ospiterà The 19 Million project: per approfondire di che si tratta, pubblichiamo la versione italiana dell’intervista a Mariana Santos, fondatrice di Chicas Poderosas e co-creatrice del progetto, al Global Editors Network (trovate qui il testo originale).

In partnership con Global Editors Network (GEN), FUSION e Univision News hanno unito le loro forze al gruppo non profit di giornalismo digitale Chicas Poderosas e alla Coalizione italiana per le Libertà e Diritti civili (CILD), per lanciare insieme The 19 Million Project.

The 19 Million Project  farà sì che giornalisti, programmatori, designer, studiosi, leader dell’economia e delle istituzioni e organizzazioni per i diritti umani provenienti da Stati Uniti, America Latina, Europa, Medio Oriente e Africa si incontrino per capire come si sia giunti, in Europa, all’attuale situazione di crisi dei rifugiati, e come questa possa essere gestita nel modo migliore.

La vera forza trainante che sta dietro al progetto è Mariana Santos: JSK Knight Fellow presso l’Università di Stanford, direttore generale di Chicas Poderosas e Direttore del settore Progetti Interattivi e Animazione di FUSION. Qui, in un’intervista con GEN, Mariana Santos spiega i dettagli di The 19 Million Project, e cosa spera che venga realizzato durante questa maratona di dieci giorni di giornalismo collaborativo, che prenderà il via a Roma il 2 novembre.

 

Cosa ne pensa dell’attuale copertura dei media sulla crisi dei rifugiati?

Devo dire che in molti se ne stanno occupando in modo approfondito, pur concentrandosi soprattutto sulla situazione siriana e sui rifugiati che provengono da lì. I macro temi che emergono sono tantissimi, ma quello che ancora manca è una vera chiamata all’azione, non c’è nessuno che dica davvero “Su, facciamo qualcosa”. Io credo invece che questo sia proprio il tempo di agire.

Cosa manca in questi approfondimenti? Cos’è che potrebbe renderli più efficaci?

Penso innanzitutto che ci sia bisogno di contestualizzare le storie di cui ogni giorno siamo testimoni, con maggiore empatia e con una documentazione che venga condivisa tra rifugiati, leader dell’Unione Europea e politici di tutta Europa. Si deve far sì che nasca un dialogo, e ci vogliono azioni concrete perché questo avvenga. Non possiamo semplicemente star lì a osservare la storia dell’umanità che avviene sotto i nostri occhi.

Barack Obama ha chiesto alle imprese della Silicon Valley un aiuto per risolvere la situazione dei rifugiati siriani. Secondo lei che ruolo possono avere le multinazionali della tecnologia in questa crisi?

Le aziende che lavorano nel settore tecnologico hanno quel tipo di mentalità che le porta a essere concrete, a fare dei tentativi e, nel caso questi non andassero bene, a impegnarsi per migliorarli. È un atteggiamento basato sull’azione: flessibile, e con un approccio che mette al centro le persone. Ed è esattamente ciò che serve per affrontare questa crisi. E’ dalle persone che bisogna ripartire, per arrivare a delle soluzioni che rispondano alle loro necessità. E ovviamente dobbiamo essere pronti ad adattare le soluzioni nel momento stesso in cui si presentano, non sprecando tempo prezioso a discutere.

Ci sono delle app o dei servizi digitali che si sono rivelati utili alla crisi negli ultimi due mesi?

I rifugiati usano Facebook e grazie a open software come MAPS.ME segnalano i percorsi che hanno fatto e gli itinerari più sicuri. Dopotutto questo è il potere delle community, grazie a cui si usano gli strumenti a disposizione per muoversi in situazioni di difficoltà. È bello osservare come l’intelligenza collettiva riesca a fare molto con poco.

Kobane, confine tra Siria e Turchia, foto European Commission
Kobane, confine tra Siria e Turchia, foto European Commission

Cosa si aspetta da The 19 Million Project e perché il progetto ha questo nome?

The 19 Million Project deve il suo nome ai 19.5 milioni di rifugiati che sono riusciti a fuggire da persecuzioni e guerre nello scorso anno, rischiando le loro vite per offrirne una migliore alle loro famiglie. Chicas Poderosas Mediterraneo si è posta un obiettivo ambizioso con The 19 Million Project. Quello che ci siamo chiesti è stato come far sì che giornalisti, programmatori, attivisti e designer potessero lavorare insieme per affrontare un problema globale, cercando di trovare – in una settimana – delle soluzioni che di fatto potrebbero salvare delle vite. Serve che stiano insieme per analizzare al meglio la questione, utilizzando anche gli strumenti forniti dal kit Human-centered design di IDEO.

Come funziona il progetto?

Ognuno può lavorare con chi vuole! Si sono unite al progetto diverse redazioni, un insieme di capacità, culture e punti di vista diversi. Tutte le informazioni saranno condivise e open source: gratuite e a disposizione di tutti. La carenza di informazioni porta all’egoismo e all’interesse personale. Invece noi vogliamo precisamente il contrario: non si tratta di qualcosa che riguarda noi, i giornalisti. Riguarda i rifugiati, e quello che possiamo fare per migliorare le loro condizioni. Sono soluzioni concrete quelle che vogliamo, delle storie ma soprattutto un cambiamento delle politiche attuali. Insieme intendiamo creare The Digital Petition, che speriamo possa influenzare i politici europei, costringendoli a fare qualcosa!

The 19 Million Project

Che accadrà durante i dieci giorni dell’evento? Ci sarà una gara?

No, l’evento non è basato sulla competizione- ma più sulla collaborazione. Le squadre saranno multidisciplinari, ma non ci sono regole rigide sulla loro composizione. Tutti gli articoli che verranno prodotti saranno disponibili sul sito web.

Qual è il ruolo di Chicas Poderosas e di CILD come co-organizzatori del progetto?

Chicas Poderosas ha il potere di mettere insieme persone molto talentuose e generose che di solito si incontrano per quattro giorni in destinazioni diverse in tutto il mondo – luoghi in cui il lavoro collettivo è necessario per affrontare un problema specifico. Questa volta il problema è enorme, dunque c’è bisogno di un gruppo più corposo di persone, che mettano a disposizione la loro intelligenza, il loro tempo e la loro generosità per aiutare altri esseri umani e le loro famiglie, come la mia e la sua, a sopravvivere e ad avere una vita dignitosa. CILD è un grande amico di Chicas Poderosas, perché condividiamo la stessa passione: metterci a disposizione per cambiare il mondo, e sottolineare continuamente la necessità che vengano rispettati i diritti umani lì dove non esistono. Quindi, insieme al giornalismo, i media digitali e l’attivismo affronteranno insieme, senza timori, le avversità. Stiamo facendo uno sforzo per rendere il cambiamento possibile. Se non lo facessimo, non credo che adempiremmo alla nostra missione sulla terra.

Campo profughi, foto Al Jazeera English
Campo profughi, foto Al Jazeera English

Qual è il ruolo di FUSION e Univision, i vostri due sponsor principali?

FUSION è la società in cui io ho il ruolo di direttore dei programmi interattivi e dell’animazione, così come quello di innovatore anticonformista. FUSION è il frutto dell’ingegno di Univision e ABC, e la nostra missione è quella di parlare con chi è sottorappresentato, per dargli una voce. La crisi migratoria non è solo un problema europeo: è un problema globale che preoccupa profondamente sia FUSION che Univision. Così, grazie alla forza di Chicas Poderosas Mediterraneo, la mia società madre e FUSION hanno deciso di offrire il loro aiuto, credendo nel cambiamento a cui questo impegno potrà portare.

Qual è il ruolo dei partner come la Stanford University, il Global Editors Network?

La Stanford University ha fatto da consulente, soprattutto con un ruolo di guida: mentorship, organizzazione e supporto attraverso centri come l’Handa center for Human Rights. Il GEN Summit, secondo me, è uno dei migliori eventi di giornalismo organizzati a livello mondiale e il netowrk di GEN è estremamente prezioso nello sviluppo di questo dialogo. Altri, come MIT Media Lab, ci stanno aiutando a gestire milioni di informazioni, e a orientarci attraverso i giusti percorsi. Google News ci sta aiutando a spargere la voce e a metterci in contatto con esperti di tecnologia, i cui strumenti possano aiutarci a produrre dati e storie sulla crisi.

Il progetto intende coinvolgere i migranti stessi nel racconto della crisi attraverso l’uso dei mezzi digitali? Se sì, come?

Lo scopo del progetto è proprio quello di coinvolgere i migranti, e vogliamo che la nostra ricerca empatica inizi attraverso le visite ai campi profughi, con giornalisti presenti nei gruppi che fanno queste visite. Vogliamo che i migranti siano al centro della storia, guidandoci verso soluzioni che siano realmente basate sulle loro esigenze.

Quali pensa siano i migliori formati per la diffusione di informazioni che potranno favorire soluzioni e dare voce alle storie sulla crisi?

Credo che le voci diverse che lavoreranno al progetto, come i media, le ONG e i giornalisti più influenti, saranno di grande aiuto alla diffusione delle informazioni. Spero solo che non avremo bisogno di altri bambini morti sulle spiagge sulle prime pagine dei nostri giornali. Perché è necessario aprire gli occhi e affrontare il problema adesso. Quello che sta succedendo potrebbe avere la portata della Terza Guerra Mondiale, ma possiamo evitare che questo accada soltanto se lavoriamo insieme, se mettiamo da parte il nostro ego e pensiamo alla società come a una famiglia. Dobbiamo aiutarci l’un l’altro meglio che possiamo, come se fossimo un’unica famiglia!

Siria, madre e figlia in un campo profughi libanese, foto Al Jazeera English

Quale ruolo stanno avendo il data journalism e il data visualization nel progetto?

Ci sono così tanti dati, e così tante storie fanno parte di questo problema, che il giornalismo visivo – che converte i dati in contenuto fruibile dagli utenti- è estremamente importante. Avrà un ruolo importantissimo.

Il vostro scopo è quello di creare applicazioni e strategie che possano essere implementate immediatamente?

L’obiettivo è ampio e aperto a modifiche. Prima di ogni cosa vogliamo individuare i problemi che vanno risolti, per poi rispondere con soluzioni concrete per affrontarli. Potrà essere un’applicazione, una storia, una campagna, una petizione. Quello che è certo è che sarà una strategia da attuare nel più breve tempo possibile.

Il progetto vedrà la collaborazione dei media di tutti i continenti? Come funzionerà questa collaborazione?

Come abbiamo già detto a ONA quest’anno, il potere di questo progetto nascerà dall’unione delle forze dei giornalisti con quelle degli esperti di tecnologia. I giornalisti sono abbastanza portati alla collaborazione. A volte quello che gli impedisce di collaborare è il mezzo per cui lavorano. Proveremo quindi a demolire questi muri e a lavorare insieme per il conseguimento di obiettivi comuni. C’è anche un’estremo bisogno di leadership, e speriamo di riuscire a individuarla, permettendo alle menti più brillanti di trovare insieme l’ispirazione. Ogni organizzazione che lavora nei media sarà rappresentata, e questo è un risultato che, se tutto va bene, potrà essere ripetuto tutte le volte che sarà necessario.

Come misurerete il successo del progetto?

Dal fatto che meno persone perderanno la vita sulle coste del Mar Mediterraneo, che ci sarà meno xenofobia in Europa e, soprattutto, riuscendo ad attraversare i mari e gli oceani per portare questo progetto in altri continenti. Il vero successo sarà un mondo che sia più preparato ad accogliere chi ha bisogno, più inclusivo, in cui tutti abbiano la stessa possibilità di avere una vita dignitosa.

Il giornalista/rifugiato Shine Jama (a destra) lavora a una storia dal campo profughi di Dadaab, in Kenya
Il giornalista/rifugiato Shine Jama (a destra) lavora a una storia dal campo profughi di Dadaab, in Kenya

Sceglierete un progetto vincente alla fine del progetto?

Insieme a GEN e Google, assegneremo alcuni premi in modo che i partecipanti possano continuare a lavorare aiprogetti che reputeremo meritevoli e che necessiteranno di più di 10 giorni per essere sviluppati. È l’inizio di una conversazione, un dialogo a cui tutti possono partecipare.