Ricollocamento dei migranti: le quote dividono l’Europa
Ieri: l’Agenda europea della Commissione e la risposta del Consiglio europeo di giugno.
Come ampiamente previsto, si è rivelato problematico e irto di ostacoli il percorso per l’approvazione definitiva della nuova agenda europea sulla migrazione presentata il 13 maggio dalla Commissione, nella (vana) speranza di una reale collaborazione europea.
L’agenda, in cui sono delineate le politiche comuni sui flussi migratori per il periodo 2015-2020, si basa su quattro pilastri: disincentivare la migrazione irregolare; gestire e rendere sicure le frontiere esterne dell’Unione; proteggere i richiedenti asilo e creare una nuova politica della migrazione legale.
Agli onori della cronaca è la “relocation”, cioè il ricollocamento in Europa dei migranti richiedenti protezione arrivati in Italia e Grecia.
Il meccanismo temporaneo previsto, dovrebbe riguardare persone richiedenti asilo che hanno evidentemente i requisiti per ottenere lo status di rifugiato, in sostanza siriani ed eritrei.
Il piano iniziale della Commissione Ue prevedeva di redistribuire i migranti tra gli stati europei sulla base di percentuali elaborate in relazione ad alcuni parametri quali il Pil, la popolazione, il tasso di disoccupazione e il numero di richieste di asilo già accolte. Inoltre, l’Agenda prevedeva la presentazione di una proposta legislativa entro il 2015 per un sistema di ricollocazione obbligatorio permanente di attivazione automatica che, in caso di situazioni emergenziali, distribuisca all’interno dell’Unione le persone con chiaro bisogno di protezione.
Come il Regolamento di Dublino, in base al quale i migranti devono chiedere asilo nel primo paese di arrivo, e la redistribuzione potessero dialogare tra di loro, è un problema che la Commissione non si è posto ed ora i nodi vengono al pettine.
Le quote sono parte di un accordo, o meglio compromesso, trovato a giugno dai capi di stato e di governo, che prevede il ricollocamento temporaneo ed eccezionale tra i paesi Ue, in due anni, di 40mila rifugiati, un numero già di per sé non ambizioso, in chiara necessità di protezione internazionale sbarcati sulle coste di Italia e Grecia dal 15 aprile scorso.
L’accordo non chiarisce quale sarà la ripartizione tra i singoli paesi, ma rimanda a una successiva decisione da prendere entro fine luglio, tenendo in considerazione la situazione specifica di ogni stato. Ciò vuol dire che mentre la proposta della Commissione, conteneva già una ripartizione precisa, basata su percentuali, le conclusioni del Consiglio affidano ad un accordo tra gli stati la decisione su come dividersi queste 40.000 persone.
Inoltre, alcuni paesi sono riusciti ad ottenere che nel testo non si faccia esplicito riferimento all’obbligatorietà del meccanismo di distribuzione. Si parla di decisione per consenso: in altre parole, si dà l’opportunità a qualcuno di bloccare tale processo.
L’accordo introduce una esenzione totale per Ungheria e una parziale eccezione per la Bulgaria, perché accolgono già moltissimi migranti dall’Est e dalla Turchia. A metà giugno, tra l’altro, l’Ungheria ha annunciato la costruzione di una recinzione alta quattro metri sul confine con la Serbia per fermare il flusso di migranti.
Oggi: solo 35mila i richiedenti da ricollocare, bocciato il meccanismo delle quote.
L’abbandono del meccanismo di quote obbligatorie proposto dalla Commissione, non avrebbe rappresentato necessariamente un male nel momento in cui si fosse mantenuto l’obiettivo finale delle 40mila persone da ricollocare. Anzi, ciò avrebbe potuto portare gli stati che rappresentano le principali mete del viaggio dei richiedenti siriani ed eritrei a colmare le quote verosimilmente abbandonate da altri paesi quali Ungheria e Bulgaria, conducendo a cifre non troppo distanti da quelle iniziali e leggermente più coerenti con lo scenario reale.
L’accordo raggiunto tra i Ventotto, risultato del Consiglio Affari interni tenutosi a Bruxelles il 20 luglio, è tuttavia ben al di sotto dell’obiettivo: invece delle 40.000 previste, le persone accolte saranno solo 32.256, più altre 2.500 che saranno trasferite successivamente.
La battaglia è sui numeri. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, alcuni Paesi, come Francia e Germania hanno dato disponibilità ad accogliere i migranti assegnati loro dal piano della Commissione Ue, Berlino anche un numero maggiore: 10.550 invece che 8.736. Per Parigi 6.752 migranti richiedenti asilo, come previsto.
L’Irlanda non coinvolta nel piano, esclusa dall’obbligo di accoglienza, ha deciso di prenderne parte e di accogliere 600 persone. Alcuni stati si sono tirati indietro, in particolare Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e stati baltici.
La Spagna, finora reticente all’accoglienza in quanto a sua volta in una situazione di emergenza per i flussi migratori che provengono dal Nord Africa, è l’unico paese arrivato alla riunione senza aver prima comunicato all’Unione europea il numero di migranti disponibile ad accogliere.
Austria e Ungheria hanno rifiutato di farsi carico delle quote, mentre Gran Bretagna e Danimarca già avevano deciso di non cooperare al ricollocamento.
A Grecia e Italia è stato chiesto di impegnarsi a identificare e registrare i migranti che arrivano nei loro territori, pena la messa in discussione del meccanismo di ricollocazione.
E domani?
Solo con il parere del Parlamento europeo si potrà proseguire. Solo da ottobre potranno avviarsi i primi ricollocamenti da Italia e Grecia. E solo tra sei mesi i paesi europei si aggiorneranno per verificare se vi saranno margini per conseguire comunque l’obiettivo iniziale.
Nel frattempo, unica soluzione sembra essere la sospensione immediata del regolamento di Dublino per permettere ai richiedenti di scegliere il Paese in cui stabilirsi, nella prospettiva di arrivare presto ad un sistema europeo unico d’asilo e accoglienza condiviso da tutti i Paesi membri. Un sistema che crei una centralità relativamente alla posizione dei migranti forzati, ponendoli nella condizione di mantenere tutti i loro legami, sia familiari che comunitari, e di avere concrete opportunità lavorative, e che, al contempo, verifichi le effettive situazioni emergenziali, mettendo in atto per tutti gli stessi metodi.
Oggi, in uno scenario caratterizzato da flussi migratori in evoluzione, una risposta solo legata all’emergenza risulta inadeguata da parte dell’Europa.