Le libertà civili non sono un lusso: la relazione del Garante della Privacy

Il Garante della Privacy (foto: @Montecitorio - Twitter)
Share on FacebookTweet about this on TwitterShare on LinkedInEmail to someone
Print Friendly

Proteggere i dati è proteggere le persone: è questo il senso della relazione annuale che il Garante della Privacy Antonello Soro ha presentato ieri alla Camera.

Lo si capisce sin dal titolo, “Persona vulnerabile. La protezione dei dati nella società digitale.” Ma, contrariamente a molti interventi che vengono fatti da esponenti politici, non ha affatto un senso conservativo e improntato alla paura, ma estremamente consapevole di contesto e rischi.

In questa rete pervasiva di oggetti, che interagiscono e comunicano
costantemente, l’uomo rischia davvero di ridursi ad un supporto: da analizzare e osservare nei comportamenti, da profilare per condizionarne le scelte, da sorvegliare per realizzare un controllo sempre più invasivo che di fatto si estende alle nostre abitazioni, alla nostra fisicità.
Tutto ruota intorno ad una raccolta onnivora di dati.
Ma nella società digitale noi siamo i nostri dati e la vulnerabilità dei dati è vulnerabilità delle nostre persone: da questa considerazione si deve partire per ricercare nuove e più efficaci forme di tutela delle nostre libertà.

E la tutela delle libertà passa anche per il tema della sorveglianza di massa, “generalizzata” e “indiscriminata”, che viene definita come contraria alla democrazia, e senza nemmeno essere efficace nella lotta al terrorismo, fa notare Fabio Chiusi su Repubblica, ricordando che Soro non è nuovo a queste prese di posizione.

Il Garante fa un altro passaggio importante che si inserisce in modo preciso nel dibattito pubblico:

Dobbiamo contrastare la ricorrente tentazione di considerare le libertà civili come un lusso che non ci possiamo permettere di fronte alla minaccia terroristica.
È dalla centralità dell’Habeas data nelle nostre democrazie che deve partire l’Europa per combattere il terrorismo e ogni fondamentalismo senza rinnegare se stessa e la propria identità.

Il riferimento – esplicito – è alle leggi approvate di recente in Francia e Spagna. Ma anche al decreto antiterrorismo made in Italy, che ha rischiato di contenere “previsioni che avrebbero alterato il giusto equilibrio tra privacy e sicurezza, sottovalutando anche le implicazioni di alcune tecnologie […] con il rischio di un serio ostacolo al controllo di legittimità sui dati acquisiti“.

Non possiamo considerare le libertà civili come un lusso.

Questo, forte e chiaro, è un messaggio chiave della relazione del Garante, messaggio che purtroppo la politica non fa ancora propria, preferendo spesso agitare proprio il rischio della minaccia terroristica.

Questo senza affrontare gli aspetti di un dibattito da cui l’Italia si è sempre tenuta fuori, quello su sorveglianza di massa e diritti dei cittadini, che si sta svolgendo da due anni nel mondo anglosassone e che si sta progressivamente estendendo in altri Paesi europei: Germania, Francia, Danimarca e non solo. E sono tristemente ironiche le notizie di oggi di un possibile spionaggio da parte degli Stati Uniti ai danni degli ultimi tre presidenti francesi, una replica di quanto già successo in Germania qualche mese fa.

Di più, le cicliche proposte di presunte soluzioni, nel processo, mostrano una profonda ignoranza del contesto e delle tecnologie in questione.
Si tratta di una “tentazione tecnofobica” – per usare ancora parole del Garante – che si estende a molti altri ambiti (la relazione tocca molti altri argomenti, dall’identità digitale alla sanità, dalla cookie law ai pagamenti online), ma che diviene ancora più pericolosa quando diventa strumento più o meno consapevole della limitazione delle libertà civili da parte dello Stato.

Ad esempio, è di pochi giorni fa la notizia che il GCHQ, l’intelligence inglese, avrebbe spiato delle ONG straniere in Egitto e Sud Africa – un caso portato in tribunale da Privacy International a seguito delle rivelazioni di Edward Snowden. E, paradossalmente, la violazione della legge è solo procedurale e non nell’atto stesso di intercettare le comunicazioni, spiegano da Privacy International.

Siamo abituati a indignarci e protestare quando vediamo queste libertà violate e limitate ad opera di regimi autoritari, ma non siamo altrettanto pronti a renderci conto dei pericoli che corriamo quando questo avviene nelle democrazie occidentali, le nostre.
Quelle che ci promettono sicurezza in cambio di informazioni.
Quelle che ci chiedono di non controllarli e di fidarci, pur tra crescenti prove che la nostra fiducia viene da loro quotidianamente tradita.

 

Approfondimenti

[Foto: @Montecitorio – Twitter]