La situazione delle carceri italiane nella fotografia di Antigone
Un tasso di sovraffollamento arrivato al 113,2% con quasi 57.000 detenuti presenti e carceri dove si è tornati a scendere sotto i 3 mq. per detenuto, spazio minimo da garantire a chi è recluso prima che si configuri il trattamento inumano e degradante per il quale l’Italia è stata già condannata nel 2013 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
È questo uno degli aspetti più importanti (e preoccupanti) fotografati dal pre rapporto 2017 che Antigone ha presentato ieri mattina a Roma. Il ritorno del sovraffollamento era già stato segnalato dall’associazione nell’ultimo rapporto annuale che, non a caso, era stato intitolato Torna il carcere. A distanza di qualche mese, tuttavia, il numero dei carcerati ha continuato a crescere.
Ma quali sono le ragioni di questo costante incremento?
Antigone ne individua diverse e, tra queste, il numero enorme di processi penali pendenti che influiscono sull’eccessivo ricorso alla custodia cautelare, arrivata all’attuale 34,6%, quando solo due anni fa era al 33,8%, e il cambiamento che si registra nelle pratiche di Polizia e giurisdizionali, effetto questo della pressione dell’opinione pubblica a partire da casi eclatanti.
Grande spazio nel pre-rapporto viene dedicato alle 53 visite effettuate fino ad oggi, per quanto riguarda il 2017, dagli osservatori di Antigone che, fin dal 1998, sono autorizzati ad entrare in tutte le carceri italiane.
Dai dati disponibili emerge che nel 68% degli istituti visitati in questi primi mesi dell’anno ci sono celle senza doccia, e solo in uno, a Lecce, e solo in alcune sezioni, è assicurata la separazione dei giovani adulti dagli adulti. Inoltre l’Italia è uno dei paesi dell’Unione Europea con il più basso numero di detenuti per agenti (in media 1,7), mentre ciò che manca sono gli educatori. Al carcere di Busto Arsizio ce n’è uno ogni 196 detenuti, mentre in quello di Bologna uno ogni 139.
Altro elemento fondamentale è quello della cartella clinica informatizzata che garantirebbe di spostare le informazioni sanitarie insieme al detenuto, quando questo viene trasferito ad altro istituto, facilitando le possibilità di cura e quindi andando incontro ad un diritto fondamentale come quello alla salute. Purtroppo questa risulta disponibile solo nel 26% dei 53 istituti visitati dall’associazione.
Anche il diritto al lavoro e quello all’istruzione non sono sempre garantiti negli istituti di pena italiani, dove solo il 30% dei detenuti lavora, spesso esclusivamente al servizio dell’Amministrazione Penitenziaria e quindi non per un datore di lavoro esterno, cosa quest’ultima che faciliterebbe il reinserimento a fine pena. Nel 6% degli istituti visitati inoltre non ci sono corsi scolastici attivi e nel 41,5% non ci sono neanche corsi di formazione professionale.
Uno sguardo viene poi posto anche ai contatti con l’esterno e ai rapporti con la famiglia, di cui si riconosce l’utilità per il reinserimento sociale e la prevenzione di atti di autolesionismo. Ebbene, in uno solo degli istituti visitati nel corso del 2017, ad Opera, sono possibili i colloqui con i familiari via Skype, ed in uno solo, nella Casa di Reclusione di Alessandria, è possibile per i detenuti una qualche forma di accesso ad Internet.
Molti di questi dati sono raccolti nella dashboard che Antigone ha presentato durante la conferenza stampa e che sarà aggiornata man mano che l’Osservatorio effettuerà le sue visite.