Turchia, Erdogan e la repressione della minoranza curda
Il 9 aprile Gabriele Del Grande è stato fermato in Turchia e trattenuto – senza poter parlare con i suoi legali – fino al 24 aprile, data nella quale è tornato in Italia.
Questo episodio ha riacceso i fari sulla situazione che in quel paese riguarda la violazione dei diritti umani, fattasi ancor più grave dopo il tentato golpe del luglio dello scorso anno.
A seguito di quel tentativo centinaia di giornalisti, avvocati e attivisti sono finiti in carcere. Tra loro, in particolare, quelli più vicini al movimento curdo.
Di questo parliamo con Arturo Salerni – avvocato di Progetto Diritti – che nel 1999, insieme a Giuliano Pisapia e Luigi Saraceni, era parte del pool di avvocati che aveva difeso il leader curdo Ocalan e che, per questo, nel 2011 fu fermato all’aeroporto di Istanbul e respinto come “persona non grata”.
Qual è la situazione dei diritti umani in Turchia e chi è stato più colpito?
La violazione dei diritti umani in Turchia è una costante che accompagna gli ultimi decenni della vita politica di quel paese, tanto è vero che il dialogo per l’eventuale ingresso della Turchia nell’Unione Europea è stato sempre condizionato dal raggiungimento di standard ritenuti minimi.
In particolare il punto di criticità ha riguardato sostanzialmente il sud est del paese, ed in particolare il movimento politico legato alle rivendicazioni della minoranza curda (composta da oltre 20 milioni di persone). Il dialogo con l’Unione Europea ha permesso, nel primo decennio di questo secolo, significativi miglioramenti, come l’abolizione della pena di morte e alcuni tentativi di dialogo tra il governo turco e le rappresentanze politiche del movimento nazionale curdo.
Tuttavia questo dialogo sembra essersi interrotto e la repressione degli ultimi mesi ha toccato anche la popolazione curda. Qual è la loro situazione?
Quando si è scatenato il conflitto in Siria e il movimento curdo siriano, legato all’irredentismo curdo turco, ha acquisito una notevole visibilità sul piano internazionale (e un significativo consenso da parte delle opinioni pubbliche occidentali), Erdogan ha avvertito il pericolo di questo nuovo protagonismo anche nel suo paese. Dopo la vittoria elettorale dell’HDP, il dialogo si è interrotto e la repressione si è fatta prima intensa e poi feroce. Questa dinamica si è incrociata con la reazione al tentativo di golpe e oggi possiamo dire che c’è un livello sistematico di violazione dei diritti fondamentali che non riguarda soltanto la minoranza curda ma anche gli esponenti più significativi della cultura laica e progressista del paese.
Oltre a colpire i cittadini, negli ultimi mesi numerosi responsabili e parlamentari del partito curdo HDP sono finiti in carcere. Quali sono le accuse che vengono mosse e per cui sono trattenuti in carcere?
Ad essere finiti in carcere negli ultimi mesi non sono stati solo parlamentari ma anche sindaci e amministratori del Kurdistan turco, nonché sindacalisti, giornalisti, avvocati, professori e magistrati. Insomma, tutti coloro che si ritengono legati sia al movimento curdo che alla parte più avanzata del kemalismo storico.
In generale si utilizza la categoria del reato di terrorismo e di attentato all’integrità nazionale della Turchia. Dopo il tentativo di golpe la situazione è peggiorata e questa repressione si è ancor più generalizzata, senza accennare a migliorare.
Sicuramente la vittoria di Erdogan al referendum non facilita un nuovo processo di riconoscimento dei diritti fondamentali, tanto è vero che il Premier minaccia di indire un referendum sulla reintroduzione della pena di morte.
In questa situazione quanto pesa il quadro internazionale, caratterizzato dall’alleanza con Putin e dall’avvicinamento degli Stati Uniti dopo l’elezione di Trump? Che ruolo potrebbe giocare l’Unione Europea nell’attuale scenario?
In Turchia, come in tutta la regione, il quadro è estremamente oscillante. Recentissimamente le ultime posizioni di Trump potrebbero modificare il quadro lievemente più recente di un accordo tra Russia, Iran e Turchia, che sembrava affermarsi sul teatro siriano con danno soprattutto delle forze politiche del Rojava, ovvero il Kurdistan siriano (i cui guerriglieri nella fase immediatamente precedente sono stati sostenuti dagli Stati Uniti di Obama).
L’Unione Europea nella fase dello scorso decennio ha correttamente favorito la democratizzazione della Turchia e, come dicevamo all’inizio, ha condizionato la discussione su un allargamento dei suoi confini politici al conseguimento di alcuni standard democratici. Tuttavia questo dialogo si era bloccato già da qualche tempo con il prevalere di posizioni di destra sia in Francia che in Germania contro un eventuale ingresso della Turchia nell’Unione Europea.
È evidente che situazione attuale della Turchia è incompatibile con il quadro di garanzie che sono proprie dei paesi europei, ma è anche chiaro che l’Europa non vuole scontentare un formidabile partner commerciale e soprattutto il paese che ha scelto come guardiano rispetto ai flussi migratori che provengono dalle aree del conflitto mediorientale, pagandolo profumatamente per questo suo ruolo. Certo, se dovesse essere reintrodotta la pena di morte, nessuna possibilità di mantenimento del percorso di allargamento potrebbe restare in piedi.
Va sottolineato comunque che la Turchia appartiene al Consiglio d’Europa e ha sottoscritto la Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e che, di conseguenza, soggiace alla giurisdizione della Corte di Strasburgo. Questo può permettere all’Europa (l’Europa dei 47) di mantenere una possibilità di monitoraggio e di intervento, sia pure parziale, sulle dinamiche che attengono al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo nella repubblica turca.