Il Protocollo Italia-Albania alla Corte di Giustizia UE
La decisione della Corte d’Appello di Roma del 17 novembre 2025 rappresenta un atto di particolare rilievo nel dibattito sul Protocollo stipulato tra Italia e Albania per la gestione esternalizzata delle procedure relative alle persone migranti. La Corte, chiamata a pronunciarsi sulla convalida del trattenimento di una persona trasferita nel Centro di Gjader, CPR collocato in territorio albanese ma sotto gestione italiana, sceglie di sospendere il giudizio e sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea una serie di questioni pregiudiziali sulla legittimità dell’intero accordo.
Il caso concreto riguarda un uomo proveniente dall’Algeria, arrivato in Italia nel 2024. Dopo un primo decreto di respingimento emesso dal Questore di Cagliari, e l’ordine di lasciare il paese entro sette giorni, nel 2025 è stato destinatario di un decreto di espulsione, seguito dal trattenimento presso il CPR di Roma-Ponte Galeria e dal successivo trasferimento nel CPR di Gjader. Soltanto qui ha presentato domanda di protezione internazionale, richiesta che le autorità italiane hanno considerato tardiva e strumentale, disponendo il trattenimento ai sensi dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. 142/2015. La Corte d’Appello, però, ha ritenuto che la questione non riguardasse solo la posizione individuale, ma soprattutto il contesto in cui si svolge la procedura: un territorio extra-UE in cui non è garantita la piena applicazione del diritto dell’Unione. Per questo ha deciso di rivolgersi alla Corte di Giustizia.
L’ordinanza individua motivi di illegittimità potenzialmente strutturali. I principali profili critici riguardano la compatibilità del Protocollo con i diritti fondamentali e con le direttive europee in materia di asilo.
Competenza a stipulare l’accordo:
La Corte dubita che l’Italia abbia la competenza di concludere autonomamente il Protocollo con l’Albania. Il tema dell’asilo e della gestione dei flussi migratori è infatti regolato in gran parte dall’UE attraverso il Sistema Comune Europeo di Asilo, e secondo l’art. 3, par. 2, TFUE, l’Unione ha competenza esclusiva quando un accordo internazionale rischia di incidere su norme comuni. Il Protocollo potrebbe quindi invadere un ambito riservato all’UE.
Conflitti con le norme dell’Unione sul trattenimento:
Le persone migranti trasferite a Shengjin e Gjader non possono circolare liberamente sul territorio albanese, e questa misura rappresenta una privazione di libertà che integra il trattenimento anche se non formalmente disposto. Le direttive europee stabiliscono anche che le persone richiedenti asilo non possano essere trattenute solo perché richiedenti e che il trattenimento debba essere usato in casi eccezionali, secondo i criteri di necessità e proporzionalità, privilegiando alternative. Infine, anche in caso di mancata convalida del trattenimento, la persona richiedente non sarebbe liberata subito ma resterebbe comunque trattenuta fino al trasferimento in Italia, in contrasto con la normativa UE.
Estensione indebita delle procedure di frontiera:
Il Protocollo equipara le aree albanesi a “zone di frontiera”. Tuttavia, le procedure accelerate sono ammesse solo nelle immediate vicinanze della frontiera europea, non in uno Stato terzo: si crea così una sorta di “frontiera artificiale” non prevista dal diritto dell’Unione.
Diritto di difesa compromesso:
La distanza tra Italia e Albania e la rapidità delle procedure rendono difficile garantire un’effettiva difesa: gli avvocati italiani hanno difficoltà ad accedere ai centri e le persone richiedenti faticano a scegliere consapevolmente e contattare un difensore. Nel caso concreto, il contatto tra avvocata/o e persona interessata è risultato molto complicato.
Tutela della salute inadeguata:
La Corte osserva che il Protocollo prevede l’intervento delle autorità albanesi quando quelle italiane non siano in grado di garantire le cure necessarie, riconoscendo così implicitamente che gli standard sanitari richiesti potrebbero non essere sempre assicurati. Inoltre, parte dell’assistenza sanitaria viene delegata all’Albania, Stato terzo non soggetto alle direttive europee in materia di tutela della salute.
Sulla base delle problematiche evidenziate, la Corte d’Appello di Roma ha formulato due quesiti pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell’UE:
- se l’Italia avesse la competenza per concludere autonomamente l’accordo con l’Albania, o se tale materia rientri nella competenza esclusiva dell’Unione europea;
- se, anche ammettendo questa competenza, il diritto dell’Unione, alla luce della Carta dei diritti fondamentali, consenta comunque il trattenimento e la gestione delle procedure di asilo in un territorio esterno all’Unione.
In attesa della risposta della Corte di Giustizia, la Corte d’Appello ha sospeso la decisione sulla convalida del trattenimento e, per effetto della legge, il trattenimento cessa di efficacia dopo 48 ore.
La vicenda giudiziaria del cittadino algerino è solo il punto di partenza. La questione aperta riguarda la compatibilità del modello di esternalizzazione dell’asilo con il diritto europeo. Il giudice non discute la storia individuale, ma il principio: può uno Stato membro spostare richiedenti asilo al di fuori del territorio dell’Unione mantenendoli soggetti al diritto UE? La risposta della Corte di Giustizia potrebbe ridefinire non solo il protocollo Italia-Albania, ma anche i futuri assetti del Patto europeo su migrazione e asilo.



