La Corte Costituzionale si pronuncia sui CPR
di Ilaria Alvino e Martina Leonetti
Una decisione importante ma non risolutiva
Con la sentenza n. 96 del 2025 (qui è possibile leggere la sentenza), decisione del 09 giugno 2025, depositata poi il 03 luglio, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, secondo comma, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, TUI) nella parte in cui consente la convalida automatica del trattenimento dello straniero nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) senza un effettivo controllo giurisdizionale.
La questione era stata sollevata dal Giudice di Pace di Roma con quattro ordinanze pressoché identiche, che denunciavano il contrasto tra la norma impugnata e i principi fondamentali della Costituzione, in particolare per violazione degli artt. 3, 13 e 117. In sintesi, il rimettente aveva denunciato che il trattenimento si svolge secondo modalità e procedimenti non disciplinati da una normativa di rango primario, in violazione della riserva assoluta di legge prevista dall’articolo 13, secondo comma, della Costituzione; aveva inoltre lamentato l’omessa previsione di standard minimi di tutela giurisdizionale, con disparità di trattamento rispetto ai detenuti in carcere, che usufruiscono delle garanzie dell’ordinamento penitenziario.
La sentenza della Corte Costituzionale ha confermato quello che da tempo società civile, numerosi Garanti per i diritti delle persone private della libertà personale e diversi organismi internazionali affermano: i CPR sono luoghi che si pongono al di fuori dello Stato di Diritto e, all’interno dei quali, avvengono violazioni sistematiche dei diritti delle persone trattenute. Difatti la Consulta ha specificato che il trattenimento dei cittadini stranieri non risulta conforme alle garanzie costituzionali, essendo la materia disciplinata quasi esclusivamente da fonti secondarie, atti ministeriali quali norme regolamentari e provvedimenti amministrativi discrezionali. Ciò lascia ampio spazio ad abusi e lesioni dei diritti fondamentali dei trattenuti, a cui, peraltro, non è neanche attribuito uno strumento giurisdizionale adeguato per porre rimedio ai pregiudizi subiti durante la detenzione. La normativa è, quindi, del tutto inidonea a definire con sufficiente precisione le modalità della restrizione e quali siano i diritti delle persone trattenute nel periodo in cui sono private della libertà personale.
Nonostante questo passo avanti, l’intervento della Corte non è sufficiente. La Consulta ha confermato un orientamento prudente e bilanciato anziché dichiarare l’incompatibilità dell’intero sistema dei centri di detenzione amministrativa con i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. Non ci dimentichiamo, infatti, che le persone migranti vengono private della libertà personale senza aver commesso alcun reato, pertanto si sarebbe auspicato un intervento più coraggioso. La decisione non vieta dunque i CPR, ma invita il legislatore ad intervenire in materia con una norma di rango primario. A fronte di ciò, il Ministero dell’Interno ha già annunciato l’intenzione di intervenire rapidamente con una nuova norma che disciplini il trattenimento amministrativo. Questa reazione però solleva preoccupazioni: invece di prendere atto della crisi strutturale del sistema e smantellarlo, il Viminale sembra orientato a legiferare un modello lesivo dei diritti umani. Si rischia, infatti, che il legislatore scelga di blindare definitivamente il sistema di detenzione amministrativa attraverso una normativa primaria che ne consolidi l’esistenza, con la conseguenza di rafforzarne la legittimità pur in presenza di violazioni sistemiche dei diritti fondamentali.
Già nei giorni immediatamente successivi alla pubblicazione della sentenza, si sono registrati i primi effetti concreti: alcuni Giudici di Pace hanno disposto il rilascio immediato di persone detenute che avevano fatto ricorso rispetto alla loro reclusione nei CPR, riconoscendo la mancanza di una base giuridica costituzionalmente legittima per il proseguimento del trattenimento, aprendo la strada ad altri ricorsi. In particolare, la possibilità di aprire contenziosi individuali vale ancora di più per i detenuti nei centri in Albania, che per legge sono equiparati a quelli italiani, in quanto, oltre a quanto evidenziato dall’ultima sentenza della Corte, si aggiunge la violazione del principio di uguaglianza. Questo ulteriore profilo di illegittimità rafforza le ragioni per cui i giudici possono accogliere i ricorsi individuali per il rilascio immediato presentati da chi è trattenuto nei CPR albanesi.
Di fronte a questo nuovo scenario, è indispensabile una risposta collettiva, sia sul piano legale che politico, per chiedere la chiusura definitiva dei CPR e la costruzione di un sistema di accoglienza alternativo, fondato sulla dignità e sui diritti della persona, contrastando un sistema di privazione della libertà personale in assenza di reato, incompatibile col nostro sistema costituzionale, un sistema privatizzato che fa profitto riducendo senza scrupoli i servizi essenziali, comportando nel quotidiano trattamenti inumani e degradanti.