La repressione quotidiana nel CPR di Gradisca
di Irene Proietto e Arianna Egle Ventre
Il presente testo è il resoconto di un’attività ispettiva, a cui ha partecipato anche CILD, svolta insieme all’on Rachele Scarpa
È la notte tra il 29 e il 30 marzo. Tra le sbarre del CPR di Gradisca il fuoco appiccato dalle persone trattenute racconta la loro rabbia. È la rabbia di chi ha visto compagni di detenzione stare male e lasciati soffrire sul pavimento, di chi da mesi protesta inascoltato, di chi vive quotidianamente la violenza del sistema CPR in tutta la sua brutalità.
Il tempo dei CPR non scivola via, rimbalza nella bolla di un luogo che priva della libertà personale, satura l’aria, reitera la violenza che si incastra e si impregna ai corpi di chi la respira. La violenza fa parte del luogo, delle sue mura, delle sue reti che separano chi è dentro il CPR dal cielo, dal mondo, come se non ne fosse parte. Che il cielo sia azzurro, nuvoloso o piovoso, nel CPR di Gradisca d’Isonzo il cielo è sempre a quadretti.
“La struttura è molto afflittiva, è completamente coperta da delle reti, che creano delle vere e proprie gabbie. Sembra un grosso canile” commenta l’on. Rachele Scarpa, parlamentare che il 28 febbraio decide di entrare nel CPR per un visita ispettiva a sorpresa. La visita rientra in un quadro più ampio di ispezioni a tappeto che la parlamentare ha deciso di fare: “Bisogna monitorare regolarmente i CPR; non facendo delle passerelle, ma un lavoro più approfondito di denuncia”.
Gestito dalla cooperativa Ekene, il CPR Gradisca è un’ex caserma che dista 12 km da Gorizia, non lontano dalla frontiera con la Slovenia. Non a caso è stato definito ‘CPR di frontiera’ nel report di ActionAid del 2023, laddove a un tempo di permanenza breve corrisponde un tasso di rimpatrio alto. Infatti secondo i dati riportati dal Dossier Statistico Immigrazione del 2024, nell’anno precedente le tre strutture con un più alto tasso di rimpatri rispetto alla popolazione trattenuta sono in ordine Caltanissetta (87,2%), Trapani-Milo(68,7%) e Gradisca (51,9%).
Nel CPR di Gradisca la delegazione vede quello che si è abituata a vedere in un sistema completamente distorto, confermando tutte le criticità che mettono a repentaglio la salute e la vita delle persone trattenute nei CPR. La struttura è fatiscente, le condizioni dei moduli abitativi e dei bagni sono particolarmente critiche, secondo la parlamentare. Non ci sono attività previste, il tempo scorre, senza la prospettiva di un futuro immaginabile. Nessuna delle persone nel CPR sa cosa gli aspetta, vista la totale assenza di informazioni.
La quotidianità è fatta di un’attesa vuota, dall’attesa di un qualcosa di indefinito. Un rilascio? Un rimpatrio? A raccontare la violenza del tempo, un tempo intrappolato e sospeso, sono le testimonianze delle persone trattenute. Il CPR di Gradisca è uno dei pochi dove non viene sequestrato il telefono, rendendo possibile lasciar uscire uno scorcio di quella realtà fuori dalla struttura con gli occhi di chi la vive. Certamente, a proprio rischio e pericolo. Su Tiktok un ragazzo ha deciso di esporsi, impegnandosi con precisione a documentare tutto quello che succede. Fino al 31 marzo, giorno del suo ultimo video. E’ stato trasferito in un altro CPR? E’ stato rimpatriato? Gli è stato sequestrato il telefono? Domande senza risposta, come molte altre utili a capire cosa avvenga all’interno dei CPR. Ciò che succede dentro alle strutture di detenzione, faticosamente esce.
Secondo quanto riportato dalla delegazione che ha accompagnato l’onorevole Scarpa, al momento dell’ispezione non risultava presente un registro cartaceo degli eventi critici capace di dare un quadro completo degli ultimi mesi. Secondo l’on. Scarpa infatti “è stato riferito che vengono fatte delle segnalazioni tramite verbale direttamente alla prefettura. In questo modo noi non siamo riuscite da una visita ispettiva ad avere una panoramica complessiva di cosa sia successo negli ultimi 5-6 mesi”
Il registro cartaceo visionato dalla delegazione risulta aggiornato solo fino al 2 settembre 2024. Tuttavia è evidente come fino a quella data si siano verificate un numero elevato di situazioni critiche tra cui accessi al pronto soccorso, tentativi di suicidio o gesti anticonservativi, molti dei quali rubricati come atti simulati o dimostrativi.
Di tutto ciò che viene – o dovrebbe essere- riportato nel registro degli eventi critici, poco arriva al di fuori delle mura della struttura. Se non quando raggiunge l’apice di quella violenza sistemica, come nel caso delle morti nei CPR. Il corpo delle persone trattenute diventa un territorio di conflitto e resistenza, dove lasciare una prova di quella violenza quotidiana e multidimensionale del sistema CPR. Anche le proteste collettive, che da inizio anno si ripetono periodicamente, lasciano un segno sull’edificio: parti inagibili e danneggiate sono il racconto frammentato della resistenza di chi dentro quella struttura perde ogni diritto.
Non a caso, nonostante ci sia un locale adibito a mensa, non è possibile utilizzarlo perché secondo quanto riferito alla delegazione, aumenta il rischio di disordini. D’altronde sono molteplici le strategie per evitare che si mantenga quell’ordine necessario alla sopravvivenza del sistema CPR, un ordine basato su criminalizzazione, abusi e repressione.
“Non vogliamo dormire, vogliamo delle medicine per il dente e per la schiena” così in un video Tiktok a metà marzo una delle persone trattenute denuncia l’abuso nella somministrazione di valium a conferma di ciò che è emerso durante la visita dell’on. Scarpa. Infatti la delegazione ha acquisito la copia del documento inerente alle richieste dei farmaci che il medico del CPR chiede di acquistare alla ASL, risalente al 10 febbraio.
Pur trattandosi di un singolo acquisto risulta un’elevata richiesta di ansiolitico valium: 90 confezioni.
“Emerge un acquisto sproporzionato di Valium, come abbiamo visto poi dopo anche da TikTok. È un’ulteriore conferma di quella che è una prassi dei CPR, inteso come sistema CPR che mette in atto una sedazione collettiva” commenta Scarpa.
La visita ispettiva va dunque di pari passo a molteplici pratiche di denuncia. Tentare di raccontare collettivamente, unendo i molteplici sguardi che si integrano l’un l’altro è al momento una delle forme più efficaci di lotta e resistenza contro il sistema CPR. Lo sguardo di chi non vive sulla propria pelle il CPR passa inevitabilmente per un filtro: lo sforzo collettivo sta nell’unire le molteplici prospettive. “Per quanto la visita sia stata lunga e puntuale, non emergono con efficacia quelle che poi sono le cose che si sono manifestate sui social, come Tiktok, in tutta la loro brutalità. Quindi evidentemente, è un sistema adeguato a come vogliono farcelo vedere” conclude l’on. Scarpa.