Giustizia per Ousmane Sylla

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di Irene Proietto e Arianna Egle Ventre

«Siamo qui per trovare giustizia per mio fratello Ousmane Sylla e per le persone che stanno ancora chiuse in questi posti. Per trovare giustizia dobbiamo lottare affinché questi centri, i CPR, vengano chiusi».

Ѐ il 4 febbraio 2025 e le parole di Mariame Sylla risuonano nella stanza dove si svolge la conferenza stampa per ricordare al mondo che un anno prima Ousmane Sylla moriva a soli 20 anni nel CPR (Centro di permanenza per il rimpatrio) di Ponte Galeria. Mariame siede dietro lo striscione dove si legge chiaro e tondo “Dal Mediterraneo ai CPR; memoria, verità e giustizia per tutte le stragi di Stato”. Dietro si scorgono numerosi volti, tra cui quello sorridente di suo fratello Ousmane. La sua foto è accostata proprio sopra quella di Moussa Balde, altra vittima uccisa dal sistema CPR. «Ci vuole tanto coraggio per essere qui dopo aver perso una persona cara. Io ho visto il CPR di Torino dove dicono mio fratello si sia suicidato: ho visto le condizioni, ho visto l’isolamento che mio fratello ha vissuto; non si mangia né si dorme bene. Nessuno dovrebbe vivere in queste condizioni» le parole di Thierno Balde, fratello di Moussa Balde, sono la decisa manifestazione di un’urgenza non più rimandabile che insieme al discorso di Mariame Sylla fanno del dolore un bisogno di lotta. Il processo per la morte di Moussa Balde, morto nel 2021 nel CPR di Torino, è ancora in corso. «Ciò che succede nei CPR è disumano. Continuiamo a lottare contro i CPR» conclude Thierno Balde. 

Una lotta che prende forma a partire dalle storie di chi si è trovato a vivere l’esperienza del CPR. Di chi con il proprio corpo ha lanciato un ultimo grido di aiuto e di denuncia. 

«Possiamo chiedere giustizia per tutte le persone rinchiuse anche grazie a Ousmane» dice Mariame. D’altronde, secondo il racconto della sorella, Ousmane ha sempre manifestato una forte intolleranza verso le ingiustizie, come ha dimostrato pochi mesi dopo essere arrivato in Italia quando irrompe nel Consiglio Comunale di Cassino mostrando le proprie ferite. Denuncia con il suo corpo le storture di un sistema che fin dal suo arrivo in Italia lo ha messo in pericolo, anziché tutelarlo. Dopo essere arrivato a Lampedusa il 29 luglio 2023, Ousmane si dirige verso la Francia, ma a Ventimiglia viene fermato dalla polizia e portato nella casa famiglia “Revenge” di Sant’Angelo in Theodice, struttura per minori stranieri non accompagnati. Lì subisce violenze quotidiane che Ousmane decide di mettere in luce irrompendo nel Consiglio Comunale il 6 ottobre del 2023, come già menzionato. Di tutta risposta viene immediatamente condotto nel CPR di Trapani, dove entra il 13 ottobre 2023. Viene considerato idoneo al trattenimento malgrado le evidenti vulnerabilità causate dalla violenza subita nel centro per minori e nonostante l’Italia non abbia nessun accordo di riammissione con il Paese di origine di Ousmane, la Guinea. In mancanza di un accordo di rimpatrio non è perciò applicabile la sua espulsione. 

«Non capivo e continuo a non capire come sia possibile che dopo solo sette mesi di permanenza in Italia, dopo un viaggio difficile come quello che ha fatto Ousmane dalla Guinea, mi sono sentita dire che  mio fratello si è suicidato» afferma Mariame Sylla, ricordando gli ultimi mesi di vita di Ousmane. Ricorda con chiarezza, lentamente, quando è arrivato nel Paese che lo ha ucciso: «Quando finalmente è arrivato in Italia ci ha telefonato e  ha detto alla mamma di mettere il video, per farle vedere dove fosse. Poi le ha detto che non si doveva più preoccupare. Ma la mamma continuava a essere in pensiero perché non aveva i suoi cari vicino a lui». Mariame Sylla continua, ripetendo le parole di Ousmane impresse nella sua memoria «Sono qui, perseguirò il mio sogno di diventare un cantante, andrò in Francia e vivrò lì». Un futuro che viene brutalmente interrotto già a partire dalla prima esperienza nel CPR di Trapani, dove a Ousmane vengono somministrati pesanti psicofarmaci. Dopo tre mesi nel CPR siciliano, a seguito di una protesta che ne rende parte inagibile, Ousmane  viene trasferito nel CPR romano di Ponte Galeria, dove viene bruscamente interrotta la sua terapia farmacologica. Ancora una volta non viene messa in discussione la sua idoneità alla vita nel CPR. Dopo una settimana nel centro romano, Ousmane si toglie la vita. Lascia un messaggio scritto sul muro.

“Se un giorno dovessi morire, vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta (…) I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro. L’Africa mi manca molto e anche mia madre, non deve piangere per me. Pace alla mia anima, che io possa riposare in pace (…)”.

La famiglia è venuta a sapere della morte di Ousmane attraverso un post facebook e solo giorni dopo è riuscita ad avere più informazioni. Mariame Sylla racconta: «Quando abbiamo saputo della sua morte la mamma non faceva altro che ripetere che faceva bene a preoccuparsi».  Il procedimento penale in merito alla morte di Ousmane Sylla è ancora in corso e per la famiglia è fondamentale trovare verità per lui e per tutti coloro che ancora subiscono le conseguenze del sistema CPR. Conclude la sorella: «Ousmane è venuto in Italia per seguire un sogno e non perché soffrisse. E’ venuto per trovare se stesso e non capisco come sia finita così».