Droghe e criminalizzazione sociale. Intervista a Leonardo Fiorentini.
Il tema droghe e la criminalizzazione sociale sono strettamente connesse. Il governo attuale punta persino a criminalizzare la cannabis light. Ma qual è la conseguenza di approcci poco lungimiranti e sempre più criminalizzanti, uniti a una perenne disinformazione sulla questione? Ne abbiamo parlato con Leonardo Fiorentini, segretario di Forum Droghe.
1. Che cos’è Forum Droghe e di cosa si occupa?
Forum Droghe è un’associazione nata nel 1995 che si pone come obiettivo la riforma delle politiche sulle droghe in un’ottica di governo sociale del fenomeno e di contenimento dei danni. L’approccio proibizionista sulle droghe, incardinato sulle convenzioni ONU sugli stupefacenti e sostanzialmente sulla repressione penale, si è dimostrato non solo completamente inefficace ma anche moltiplicatore dei danni. Dopo oltre 60 anni di guerra alle droghe le sostanze illegali sono più variegate e libere che mai. Il rapporto fra l’uomo e le sostanze è millenario, ed è necessario quindi sostituire all’ipocrisia del divieto, che non fa altro che alimentare il mercato illegale, un sistema regolatorio. Come del resto sta avvenendo per la cannabis in molti paesi, dalle Americhe all’Europa.
2. Qual è il nesso tra la criminalizzazione delle droghe, controllo sociale e persecuzione delle minoranze? Quale impatto ha ciò sulle persone?
Le convenzioni sulle droghe furono scritte da uomini bianchi, principalmente occidentali, mentre sorseggiavano whisky e fumavano sigari. Nascono quindi viziate dalla discriminazione: furono vietate le sostanze tradizionalmente usate dalle popolazioni indigene o nei paesi dell’allora terzo mondo (si pensi alla masticazione della foglia di coca nel Sud America), mentre droghe ben più pericolose, come alcol e tabacco, ma tradizionalmente usate nell’occidente, furono ignorate nel divieto. Questa impostazione neocolonialista del sistema di controllo globale sulle droghe – che impone agli altri paesi usi e costumi dell’occidente bianco e ricco – si riflette poi nella sua applicazione. Le norme penali sulle droghe sono perfette per imporre il controllo delle minoranze e la loro persecuzione. Solitamente basta il possesso per determinare l’infrazione, che sia penale o amministrativa. Unite all’attività di profiling – conscia o inconscia – delle forze dell’ordine divengono dunque un perfetto strumento per la criminalizzazione di determinati gruppi sociali o etnici. Basta pensare negli USA ai lavoratori messicani degli anni ‘30 o ai “figli dei fiori” negli anni ‘60. In Italia ai “capelloni” degli anni ‘70 o ai migranti di oggi. Così succede che le persone razzializzate negli USA siano state arrestate per possesso di cannabis a tassi 4 volte superiori rispetto ai bianchi, pur avendo prevalenze d’uso simili. Così succede, ogni giorno in Italia, che giovani con carnagione più scura della mia o con più capelli di me vengano fermati – anche più volte al giorno – identificati e perquisiti per sospetto possesso di droghe: essendo il consumo di sostanze illegali molto diffuso, in particolare nella popolazione giovanile dove almeno un terzo consuma una qualche droghe, il danno è fatto. E’ come andare nelle piazze e nelle stazioni con una grande rete da pesca a strascico: qualcosa si troverà, facendo lievitare le statistiche e felici le redazioni dei giornali. Si rovineranno un po’ di vite ma non vi sarà alcun effetto sul mercato illegale delle droghe, che continuerà nella piazza accanto.
3. Cosa comporta il proibizionismo sulle droghe a livello di crescita della popolazione detenute nelle carceri?
Le pene per droghe sono elevatissime: fino a 20 anni di carcere, questo governo ha addirittura aumentato le pene per i fatti di lieve entità, che ora arrivano a 5 anni. Così un terzo dei detenuti risulta in carcere per droghe, la stragrande di questi sono pesci piccoli, spacciatori di strada. Un terzo di questi stranieri. Non solo: le presenze in carcere di detenuti dichiarati “tossicodipendenti” rappresentano una quota altrettanto grande, che in parte si sovrappone. Ma ci sono tantissime persone con uso problematico di sostanze in carcere per reati predatori legati alla loro condizione. Secondo il Libro Bianco sulle droghe, un rapporto indipendente che pubblichiamo da quindici anni, senza detenuti per mero spaccio, o senza detenuti “tossicodipendenti” non avremmo alcun problema di sovraffollamento carcerario.
4. Potresti elencare 3 grandi miti da sfatare in tema droghe?
L’incontrollabilità delle sostanze, le (la) droghe di passaggio, l’efficacia della repressione. Partirei dall’ultimo: si proibiscono sostanze, si festeggiano i sequestri e gli arresti, ma si omette di dire che queste cose non hanno alcun effetto tangibile sul mercato delle droghe. Le sostanze si continuano ad usare anche se vietate, spesso di più, e le attività di repressione sulle quali viene investita una montagna di risorse e un mare di attenzione politica e mediatica sono assolutamente insignificanti per il narcotraffico. Se una sostanza centuplica il valore una volta trasportata dalla selva colombiana al porto di Gioia Tauro a chi organizza quel mercato poco importa che se ne perda a causa di un sequestro il 5 o anche il 10% (queste le supposte percentuali di sequestri rispetto alla quantità immessa nel mercato illegale). Anzi, le organizzazioni criminali più capaci e spesso più violente sono contente, perché si elimina un potenziale concorrente.
L’altro grande mito, utilizzato soprattutto per demonizzare la cannabis, è quello della droga di passaggio. Suona più o meno così: siccome quasi tutti gli utilizzatori di eroina hanno prima usato la cannabis, questa è la sostanza gateway che apre le porte al tunnel della droga. Se volessimo buttarla sulla logica potremmo dire che quasi tutti hanno iniziato con il tabacco, e ancor prima con il latte materno. Se rimaniamo sulla pratica è un fatto che a fronte di circa 6 milioni di utilizzatori di cannabis in Italia troviamo solo 300.000 persone circa che fanno uso di eroina. Si dimentica, al solito, di guardare al perché si usano le sostanze e al come. Può essere la ricerca del piacere, come la fuga dalla realtà, spesso perché non piace, ma a volte per sperimentare (si pensi agli psichedelici). Una persona a cui piacciono gli effetti della cannabis non è detto apprezzi quelli dell’eroina o della cocaina. Spesso è proprio il contrario. Omettere di valutare l’uso delle sostanze nel trinomio Droghe, Set e Setting, reso famoso da Norman Zimberg significa non comprendere a pieno quali sono le variabili in gioco.
Una di queste è, appunto, la sostanza. Che certo è una molecola che ha degli effetti sulla psiche e sul corpo, ma che non per questo è sempre incontrollabile. Se la stragrande parte dei consumatori di cannabis è in grado di controllarne l’uso, evitando comportamenti, frequenze e quantità d’uso dannosi per se è per gli altri, circa il 60% di chi usa cocaina è capace di autoregolarsi. Esiste, e le esperienze di somministrazione controllata di eroina lo dimostrano, la possibilità di regolazione anche dell’uso degli oppiacei. Si tratta di una capacità che scende certamente all’aumentare della potenzialità della sostanza di creare dipendenza fisica o psicologica, ma che dipende anche dalle traiettorie di vita delle persone, dal contesto sociale ed economico, come ci ricorda Zimberg. L’uso di certe sostanze è spesso funzionale al proprio stile di vita: vale per il caffè o le bibite eccitanti, come per la cocaina, vale per l’alcol o il tabacco come per la cannabis o l’eroina, anche se si fa fatica ad ammetterlo a causa dell’approccio morale. L’associare all’uso della sostanza una “trasformazione” della persona è una scorciatoia che serve solo a creare demoni e stigma. E’ spesso anche un alibi per nascondere, dietro alla sostanza demone che trasforma l’essere umano, costrutti sociali radicati che si traducono in comportamenti violenti. Si pensi al rapporto fra patriarcato e violenza sulle donne, spesso nascosti dietro al troppo alcol bevuto o alla cosiddetta droga dello stupro.
5. Sappiamo che il governo ha dichiarato guerra persino alla cannabis light. Alla luce del nuovo DDL Sicurezza, quali sono le possibili conseguenze sul tema?
Beh qui entriamo nel teatro dell’assurdo: si vuole assoggettare alle norme penali sugli stupefacenti un prodotto, una sostanza, che stupefacente non è. Ci sono una serie di paradossi logici e giuridici che ho approfondito altrove, ma mi limito a sottolineare il vero obiettivo ed il reale risultato della norma. L’obiettivo è l’infiorescenza di canapa – anche se con un contenuto di THC inferiore allo 0,2% e quindi alla soglia ritenuta “drogante” dalla giurisprudenza italiana, perché è troppo uguale alla marijuana. Cito il termine perché è stato lo stesso dipartimento antidroga a farlo, per sostenere il valore dell’emendamento del governo al DDL sicurezza. Non importa se così quella porzione di mercato che nel frattempo la cannabis light legalmente venduta nei negozi ha sottratto alle narcomafie tornerà a rivolgersi a loro. Si preferisce demonizzare quel fiore e quella pianta, per fare di tutta l’erba un fascio. Il risultato è quello di uccidere una filiera, quella della canapa industriale che in questi anni proprio grazie alla redditività dovuta alla parte pregiata della pianta, l’infiorescenza, è riuscita ad emergere facendo nascere migliaia di imprese e occupando decine di migliaia di lavoratori, per lo più giovani.
*Leonardo Fiorentini è segretario di Forum Droghe
Foto copertina CC0 1.0 Universal Public Domain Dedication