Nei Cpr si continua a morire
Di Arianna Egle Ventre
Il 5 agosto le proteste delle persone trattenute nel CPR di Palazzo San Gervasio in provincia di Potenza attraggono l’attenzione all’esterno della struttura. Il fumo dell’incendio è uno degli unici e più efficaci mezzi di comunicazione con il mondo fuori dal centro. È l’allarme che qualcosa è successo, una richiesta di aiuto: nel pomeriggio un ragazzo ha perso la vita nel CPR di Palazzo San Gervasio. Poche informazioni riescono a oltrepassare i muri del CPR; arrivano intermittenti e con difficoltà alle associazioni impegnate sul territorio. Il ragazzo aveva 22 anni. Il ragazzo proveniva dal Marocco. Il ragazzo si chiamava Oussama Darkaoui.
Oussama è stato inghiottito dal processo di depersonalizzazione posto in essere da tutti i centri di detenzione per il rimpatrio, tanto che, se a fatica viene identificato il suo nome e la sua origine, le motivazioni della sua morte sono ancora più oscure. Addentrarsi in questa oscurità è complesso non solo per i media, che da anni riscontrano difficoltà ad entrare nei CPR, ma perfino per i consiglieri regionali, per i parlamentari e per l’avvocato difensore Arturo Covella. “Sto svolgendo le indagini difensive mediante una serie di richieste di accessi agli atti sia al CPR sia alla Questura di Potenza sia all’Ospedale di Potenza, ma sto riscontrando forti resistenze: la questura non risponde e l’ente gestore si oppone a mostrare la documentazione richiesta” spiega Covella e denuncia che “è illegittimo impedire a un difensore di poter svolgere le indagini difensive in pendenza di un procedimento penale. Sostanzialmente si sta cercando di non farmi fare il mio lavoro”.
Il quadro assume di gravità nel momento in cui Covella racconta gli ostacoli incontrati anche dalle delegazioni di cui ha fatto parte, che sono entrate nel CPR nei giorni immediatamente successivi alla morte di Oussama. “È stato messo in dubbio il diritto di accesso dei consiglieri regionali per lo svolgimento delle visite ispettive nella struttura” e aggiunge anche che durante la visita della deputata Rachele Scarpa “è stato chiesto all’onorevole di fare una formale richiesta di accesso agli atti in un momento successivo andando a sminuire il ruolo della parlamentare e i suoi poteri ispettivi”.
Queste resistenze sono d’altronde il riflesso della violenza strutturale del sistema CPR che agisce in primo luogo nei diritti delle persone trattenute. “Dai primi accertamenti nel CPR non si è in linea con lo standard di sicurezza della salute che sia degno di uno Stato civile” ha dichiarato il Procuratore Francesco Curcio durante la conferenza stampa relativa al decesso di Oussama. La Procura di Potenza ha aperto un fascicolo contro ignoti e nella conferenza stampa Curcio non ha escluso nessuna ipotesi di reato, nemmeno l’omicidio doloso o colposo. Sono diverse le ipotesi sulla morte di Oussama, ma si intrecciano tra loro dimostrando le criticità intrinseche al CPR, dove il ragazzo era detenuto senza aver commesso alcun reato. L’avvocato Covella sostiene che la morte naturale sembri improbabile e spiega gli altri scenari possibili: “È ancora tutto da accertare. Potrebbe essere una morte legata alla somministrazione di farmaci o se invece venisse confermato che era stato ricoverato a causa di atti di autolesionismo come forma di protesta, significherebbe che c’è stata una mancata attenzione e vigilanza sul suo stato di salute. Nell’ultima ipotesi più drammatica la sua morte sarebbe la conseguenza di un pestaggio avvenuto all’interno del cpr, come dicono alcune voci”
Sono ipotesi che non sorprendono vista la lunga storia di abusi del CPR di Palazzo san Gervasio, già salito all’attenzione della Procura per l’indagine recentemente chiusa con il rinvio a giudizio di 27 imputati. “È una struttura inadeguata dove vengono mandati i soggetti che sono considerati scomodi. Ci sono dei problemi strutturali legati al fatto che il personale, soprattutto quello della polizia, è sempre in continua rotazione e quindi non è preparato per lavorare all’interno di un cpr. In più si aggiungono le carenze strutturali legate all’appalto” spiega l’avvocato Covella che conclude “Tra tutti i cpr in Italia questo è uno dei peggiori”
La storia della “Guantanamo Italiana”
Il CPR di Palazzo San Gervasio si trova al confine tra Puglia e Basilicata, a quattro chilometri dal piccolo paese della provincia di Potenza dal quale prende il nome. La storia del Centro, collocato in una ex fabbrica sequestrata alla Mafia, è segnata da chiusure, riaperture, esposti e denunce. Aperto come CIET (Centro di Identificazione ed Espulsione Temporanea) nell’aprile 2011 dal governo Berlusconi per fronteggiare la c.d. “emergenza nord-Africa”, il Centro fu assegnato senza bando al consorzio Connecting people, oggetto di diverse inchieste giornalistiche e giudiziarie per l’assegnazione e la gestione di vari appalti. Nel 2011 il CIE chiuse a pochi mesi dall’apertura, in seguito alla pubblicazione di un’inchiesta che denunciava le gravissime condizioni di detenzione nella “Guantanamo italiana”: 57 cittadini tunisini, in attesa di rimpatrio, erano intrappolati in una struttura simile a una grande gabbia per uccelli e privati della possibilità di incontrare i propri legali. Il Centro fu riaperto nel gennaio del 2018, sulla scia delle riforme portate avanti dell’ex Ministro dell’Interno Minniti. La sua gestione fu assegnata con procedura negoziata alla società Engel Italia srl (da ora Engel), che in base ai documenti pubblicati dalla Prefettura di Potenza, sembra che ad essersi aggiudicata l’affidamento della gestione straordinaria del CPR presentando un’offerta al ribasso del 28,60%.
L’indagine della Procura
Dal gennaio 2018 al marzo 2023, Engel sembra aver gestito indisturbata il CPR di Palazzo S. Gervasio, con a capo il Direttore Forlenza. Già nel 2018, dalla visita del Garante Nazionale nel Centro erano state riscontrate presunte criticità nella gestione con il rischio di gravissime lesioni dei diritti dei detenuti. Tantissime organizzazioni della società civile, tra cui CILD, denunciano da anni -oltre alle condizioni indegne di detenzione- l’abuso nella somministrazione di psicofarmaci e le sistematiche violazioni del diritto di difesa delle persone detenute nel CPR di Palazzo San Gervasio, con l’impossibilità di nominare dei legali di fiducia per rendere più “facili” le convalide dei trattenimenti. Denunce che sembrano confermate da un’indagine della Procura di Potenza che ha richiesto il rinvio a giudizio di 27 persone in merito a ipotesi di reato verificatesi tra il 2018 e il 2022 nel Centro per i Rimpatri di Palazzo San Gervasio. Gli imputati hanno diversi profili: medici, personale dell’ente gestore, avvocati e forze dell’ordine. I 26 capi di imputazione raccontano di un sistema basato sulla violenza e su favori a danno delle persone trattenute nel CPR. Engel è pienamente coinvolta.
Il personale dell’ente gestore avrebbe aiutato alcuni avvocati del foro di Potenza che si sarebbero fintamente nominati come “legali di fiducia” delle persone detenute approfittando della loro vulnerabilità: nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari si riporta che nel 2018 due soli avvocati hanno difeso 671 detenuti sui 898 totali, mentre nel 2019 ne hanno difesi 855 sui 1410 totali.
I vertici dell’ex ente gestore sono accusati invece di frode nell’esecuzione del contratto di appalto, con pasti somministrati senza il rispetto delle prescrizioni in materia di sicurezza alimentare e gravi carenze nell’erogazione di tutti i servizi previsti. Non sorprende che i report che l’ente gestore doveva mensilmente trasmettere alla Prefettura siano risultati lacunosi e contraffatti. A risentirne direttamente è la salute delle persone trattenute che è messa a repentaglio da queste mancanze; basti pensare che per il periodo 2021-2022 sono state svolte meno di 1.377 ore di servizio medico rispetto alle 4400 previste nell’appalto. A ciò si aggiunge il reato di maltrattamento di cui è accusato Forlenza (direttore del CPR) e altri due medici dipendenti di Engel, poiché avrebbero somministrato a 35 detenuti in maniera illegittima il farmaco Rivotril, senza che risultassero affetti da epilessia.
Il medico responsabile del CPR di Palazzo è perciò stato indagato per maltrattamenti e falso, avendo falsificato delle ricette mediche allo scopo di approvvigionarsi di psicofarmaci (Rivotril e Quetiapina in particolare) da far assumere impropriamente ai detenuti. La somministrazione indiscriminata di psicofarmaci sembra essere una pratica consolidata e normalizzata, spesso messa in atto tramite metodi coercitivi fino ad arrivare alla tortura. Ed è proprio per reato di tortura che sono indagati il medico responsabile del CPR ed una Commissaria di PS: nel marzo 2023 hanno causato un verificabile trauma psichico ad un cittadino gambiano, costringendolo con la violenza a subire la somministrazione intramuscolare di una fiale di Valium.
Anche l’ispettore responsabile del CPR di Palazzo San Gervasio è indagato per reato di tortura in quanto, in un video diffuso da Striscia la Notizia, immobilizza un cittadino tunisino con fascette ai polsi e alle caviglie costringendolo ad ingerire dosi di farmaci antipsicotici e tranquillanti.
Questi comportamenti sono la diretta conseguenza dell’intero sistema CPR, un sistema non riformabile basato su violenza, abuso, omertà, profitto e totale assenza di trasparenza. Le indagini della Procura e la recente morte di Oussama raccontano non solo della situazione di Palazzo San Gervasio: è un ulteriore allarme delle condizioni dei CPR in tutta Italia dove le persone detenute perdono la propria libertà personale e vengono recluse in condizioni di privazione totale della dignità senza aver commesso alcun reato.
Foto copertina via Terradifrontiera/Emma Barbaro