Come in un manicomio. Rinchiusə nella sezione femminile del Cpr di Roma

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Di Arianna Egle Ventre

Dietro le sbarre di ferro della sua cella di isolamento nella sezione femminile del CPR (Centro di permanenza per i rimpatri) di Ponte Galeria, Giovanni (identificatə nei documenti come Camelia) vive abbandonatə a se stessə per mesi, nonostante l’evidente incompatibilità con la vita ristretta. Tre richieste di proroghe di trattenimento della questura, tre convalide del giudice di pace. Totale: nove mesi di detenzione nel Cpr a sud di Roma. Il personale di polizia e il personale sanitario della struttura concordano che la detenzione non sia adeguata per Giovanni, ma non sono in grado di trovare  alternative. Soltanto la visita ispettiva parlamentare della delegazione dell’On. Scarpa e la conseguente censura della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu)  riescono finalmente a porre fine al suo trattenimento il 4 luglio.

Lo scorso 18 giugno, accompagnata dal suo collaboratore, dall’etnopsichiatra Monica Serrano e dall’avvocata Federica Borlizzi, l’on. Scarpa entra nel cpr di Ponte Galeria grazie al potere ispettivo attribuitogli dalla Direttiva Lamorgese (art.7). «Spiazzi di cemento, gabbie alte otto metri, locali di pernotto sporchi e sforniti e con i materassi messi per terra. Questo è il CPR di Ponte Galeria» descrive l’on. Scarpa. Una struttura che isola e nasconde, il CPR di Ponte Galeria è l’unico centro per il rimpatrio in Italia che presenta una sezione femminile, con cinque posti disponibili. Lì, la delegazione incontra Giovanni, che non vuole parlare con nessuno; da mesi rifiuta le cure, ogni visita medica e psichiatrica. È in  un limbo: in assenza di consultazione psichiatrica che convalidi la sua vulnerabilità, rimane nella struttura di Ponte Galeria senza alcuna assistenza adeguata. 

Le deputate Rachele Scarpa ed Eleonora Evi, a fine giugno, decidono di presentare un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con il supporto degli avvocatə Daria Sartori e Muriel Vicquery (Rule 39 Pro Bono Initiative), Gennaro Santoro, Federica Borlizzi; ma anche dell’etno-psichiatra Monica Serrano e dei medici Antonello D’Elia e Nicola Cocco. 

Il 4 luglio,  la Corte Edu  sanziona il governo italiano e ordina l’immediata liberazione di Giovanni e la sua presa in carico in un luogo di cura adeguato.. Ma rimangono molte domande aperte. «La Questura avrebbe potuto, già da mesi, evitare di chiedere le continue proroghe del trattenimento; rilasciare un permesso di soggiorno per cure mediche; attivarsi affinché si procedesse con la nomina di un amministratore di sostegno; intraprendere le necessarie azioni per coinvolgere la ASL nella presa in carico» si legge nella relazione dell’ispezione, redatta dai membri della delegazione del 18 giugno. 

«In questi mesi invece che creare un adeguato percorso di cura, la risposta di tutte le istituzioni è stata sempre un’alzata di spalle» commenta Nicola Cocco, medico della Società Italiana di Medicina della Migrazione, che considera la ASL una delle prime responsabili. Aggiunge: «Fin dal giorno stesso del suo ingresso nella struttura Giovanni non poteva essere  consideratə compatibile con il trattenimento. Il degrado e l’abbandono del CPR si è praticamente incarnato nella vita e nel corpo di Giovanni». Il corpo e la salute raccontano uno spazio, uno spazio patogeno, esasperante. 

In accordo con la Direttiva Lamorgese del 2022 l’accesso nei CPR della persona senza documenti può avvenire solo a seguito della ricevuta attestazione di idoneità al trattenimento effettuata di norma al medico della ASL o all’azienda ospedaliera del territorio a seguito di una visita da svolgersi prima dell’ingresso o entro 24h dall’arrivo. Un modulo prestampato e una firma: le visite di convalida al trattenimento sono il più delle volte sbrigative, senza che vi sia l’effettiva possibilità di valutare lo stato della salute psicofisica della persone.«La logica sottesa è quella di dire che la persona non è idonea solo se è contagiosa o pericolosa per il contesto, ma non si pensa se il contesto è patogeno per la persona» spiega Serrano. Le soggettività delle persone trattenute vengono annullate, svuotate del loro passato con un inevitabile impatto sulla salute mentale. «I CPR sono l’esempio macroscopico di quel nesso tra controllo e abbandono. Si passa brutalmente dall’estremo controllo, cioè la privazione di libertà per una questione amministrativa al totale abbandono della persona. Si impone la privazione di mondo, di tempo, di relazioni, di speranza, di passato. Sembra che le persone non abbiano più una storia o dei legami» conclude Serrano. 

Il caso di Giovanni parla chiaro, è un emblematico campanello d’allarme dell’assenza totale di una struttura capace di prendere in carico e tutelare la persona dentro e all’uscita dalla stessa, anche in casi di estrema vulnerabilità. Il ricorso a psicofarmaci sembra una soluzione più facile. L’ASL competente non è incaricata solo delle visite di idoneità per la convalida al trattenimento, ma anche, nel caso romano, della gestione della parte psichiatrica. Da inizio anno, il CPR di Roma ha siglato un accordo con la ASL Roma stabilendo la presenza per 3h alla settimana dell’assistenza psichiatrica dentro il Centro di Ponte Galeria:  «La presenza degli psichiatri della sanità pubblica dentro la struttura sottolinea da un lato come le istituzioni siano ben consapevoli della situazione all’interno del CPR,  dall’altra normalizzano la detenzione di persone con problemi di salute mentale» esprime la sua preoccupazione Nicola Cocco, che evidenzia la palese contraddizione poiché «l’articolo tre della direttiva Lamorgese, che regolamenta l’accesso e la vita all’interno dei CPR, prevede che le persone con problematiche di disturbi psichiatrici, non possono essere considerate idonee al trattamento del CPR».

Anziché optare per una certificazione di non idoneità al trattenimento e accompagnare in un adeguato percorso di cura, vengono messe in atto strategie di isolamento, contenimento o utilizzo di psicofarmaci. A ciò si aggiunge un paradosso: la persona non è valutata, spesso non ci sono visite che analizzano lo stato di salute dei trattenuti, ma vengono comunque somministrati farmaci molto pesanti.  La tipologia dei farmaci prescritti presupporrebbero una diagnosi e un’immediata presa in carico da parte dei servizi territoriali. Ma ciò non avviene.

«Non può essere la presenza di medici o la somministrazione di farmaci a fare la differenza, il problema si risolve solo se  la comunità e la società tutta se ne occupa» afferma Cocco.

In questa prospettiva da gennaio del 2024 la Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM), la Rete “Mai più lager – No ai CPR” e l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) hanno lanciato un appello rivolto a tutto il personale sanitario. L’appello invita i medici a non validare  l’attestazione di idoneità data l’assoluta impossibilità di tutelare la salute  fisica e psichica delle persone migranti trattenute nei CPR.

La mobilitazione contro il regime di abbandono della detenzione amministrativa e l’allarmante ‘emergenza sanitaria’ dei CPR si muove su più fronti. L’ultima sentenza della Cedu sul caso di Giovanni è frutto di un lungo percorso, ma dimostra l’efficacia di uno strumento cruciale: le visite della società civile e dei parlamentari in un luogo volutamente isolato dalla comunità.  Lo conferma l’on Scarpa che sottolinea l’importanza di «provare a estendere la prassi delle visite ispettive a quanti più colleghi possibili che si dimostreranno volenterosi. Dobbiamo coordinarci anche insieme agli avvocati e creare precedenti politici importanti per dimostrare che i CPR compromettono la salute mentale di chi è trattenuto».