Giornata internazionale contro la tratta: intervista a On the Road

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Oggi, 30 luglio, è la giornata internazionale contro la tratta, un fenomeno che colpisce moltissime persone nel mondo e in Italia e il cui contrasto presenta ancora oggi numerose difficoltà. Sul tema abbiamo intervistato la cooperativa On The Road* che , tra le varie aree tematiche, si occupa anche della tutela delle vittime di tratta.

1. Innanzitutto vorremmo chiedervi di che cosa parliamo quando ci riferiamo alla tratta?

La tratta di esseri umani è un fenomeno complesso e molteplice. Come riferimento per una sua definizione condivisa a livello internazionale si utilizza quanto deciso nel 2000 a Palermo, nel Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini. Dove la tratta è così definita:

  1. a) «tratta di persone» indica il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi;
  2. b) il consenso di una vittima della tratta di persone allo sfruttamento di cui alla lettera a) del presente articolo è irrilevante nei casi in cui qualsivoglia dei mezzi usati di cui alla lettera a) è stato utilizzato; 
  3. c) il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere un bambino ai fini di sfruttamento sono considerati «tratta di persone» anche se non comportano l’utilizzo di nessuno dei mezzi di cui alla lettera a) del presente articolo; d) «bambino» indica qualsiasi persona al di sotto di 18 anni.

In Italia il Sistema antitratta è nato prima del protocollo di Palermo, ed è basato sull’art. 18 del DLGS 286/1998, in cui si afferma che una persona che è vittima di reti criminali che la sfruttano ha diritto ad un permesso di soggiorno e un inserimento in programmi di protezione sociale. E per offrire questi programmi di protezioni si creò un fondo che finanziava (e finanzia) interventi a supporto dell’emersione di questi casi e della loro assistenza.

Da un punto di vista fenomenologico è più difficile definire in poche parole un tema così ampio, ma possiamo dire che stiamo parlando di:

  • Persone che sono costrette per varie ragioni a lasciare il proprio paese, o che anche se non costrette hanno cercato di migliorare la propria vita e quella delle loro famiglie
  • Nel cercare di arrivare nei paesi dove ritenevano fosse possibile realizzare questa volontà hanno incontrato altre persone e organizzazioni che hanno cercato di guadagnare più soldi possibili sfruttando le loro debolezze, vulnerabilità. Parliamo di sequestri, stupri e violenze a scopo estorsivo ad esempio in Libia, lavori sfruttati nei paesi di transito, e situazioni di sfruttamento, asservimento, schiavitù nei paesi di destinazione
  • In molti casi le persone sono state sequestrate, o truffate nei paesi di origine, ed erano completamente all’oscuro della situazione che li aspettava, in altri casi viaggio, destinazione e attività erano parzialmente concordate, ma poi, una volta alla mercé degli sfruttatori, la situazione si è dimostrata essere molto diversa da quella che era stata preventivata.

Ma stiamo parlando anche di molte altre cose, perché la “tratta” è in molti casi l’unico modo per tentare di entrare in Europa, è l’insieme delle forze che determinano i fattori attrattivi (disponibilità di lavori e possibilità di rimesse verso le famiglie), ma anche le ragioni dello sfruttamento (ovvero tenere bassi i salari per aumentare i guadagni non solo di caporali e produttori ma soprattutto di intere filiere produttive e distributive).

Al di là delle definizioni normative il tema riguarda le decine di milioni di persone che a causa della loro condizione (povertà, genere, specifiche vulnerabilità, discriminazioni, catastrofe climatica, ecc.) sono costrette a sopravvivere lontani dalla loro casa, in condizioni di asservimento e schiavitù: possono quindi rientrarvi ragazze costrette a matrimoni forzati all’estero, bambini reclutati per andare in guerra, lavoratori mandati a soffrire e morire in miniere, allevamenti, fabbriche, cantieri, etc..

2. Quali sono le soggettività più vulnerabili e quindi maggiormente colpite?

Parlando delle “vittime di tratta” presenti in Italia, a prescindere che siano state sfruttate in Italia, o “solo” nei paesi di transito (ad esempio i bordelli libici, o le connection house nigerine, o i cantieri degli Emirati Arabi, ..), possiamo dire che le soggettività più vulnerabili e maggiormente colpite siano:

  • I minori stranieri non accompagnati
  • Le donne e persone trangender destinate allo sfruttamento nella prostituzione
  • Uomini e donne destinate allo sfruttamento lavorativo, spesso entrati/e illegalmente in Italia, e richiedenti asilo, o anche con lo status di rifugiati (che regolarizza la persona ma non garantisce casa e lavoro..)
  • Appartenenti a minoranze etniche, o persone con disabilità sfruttate nell’accattonaggio forzato
  • Persone appartenenti al mondo LGBTQI+, discriminate nel loro paese, e costrette alla prostituzione per mancanza di alternative nei paesi di arrivo

Ma ci sono migranti che al momento dell’arrivo non sono subito reclutate per vivere in queste situazioni, ma che non riuscendo a regolarizzarsi, e dovendo pagare debiti importanti (per problemi vari nei paesi di origine, o per il pagamento del viaggio, e anche per mantenersi in Italia) non hanno altra scelta che non lavorare in condizioni indecenti. Così come un italiano che sta abbastanza bene può diventare un senza dimora a causa di una serie di situazioni sfavorevoli, un migrante integrato può trovarsi a diventare uno schiavo a causa di necessità economiche impellenti e vincolanti, e nessuna alternativa percorribile.

3. In che modo On The Road agisce sulle problematiche inerenti alla tratta? Quali metodi di intervento vengono utilizzati?

On the Road dal 2000 è capofila di progetti antitratta finanziati dal Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio nelle Marche, Abruzzo e Molise, dove, insieme ad altri enti partner, mette in campo tutta una serie di interventi diretti al target:

  • lavoro di strada/di prossimità/outreach ovvero unità mobili che vanno nei luoghi frequentati dalle vittime potenziali per offrire assistenza sanitaria, legale, e creare dei rapporti di fiducia
  • sportelli di ascolto (drop in center) dove essere ascoltati da operatori/trici, con il supporto di mediatori/trici linguistici, operatori legali, pscicologi, avvocati. Qui si fa anche un lavoro di “identificazione”, ovvero si raccolgono elementi per determinare se la persona è vittima di tratta, ai fini dell’ingresso in programma di protezione, ma anche per fornire alle Commissioni Territoriali Asilo elementi per decidere se dare o no lo status di rifugiato.
  • Case di accoglienza
  • Percorsi di inserimento socio-lavorativo

Oltre agli interventi con il target si lavora molto a livello di rete territoriale per creare dei sistemi locali multiagenzia che possono permettere di identificare il prima possibile le situazioni di grave sfruttamento e tratta, e di intervenire con un approccio multidimensionale, dove ad esempio i servizi socio-sanitari facciano quanto è (sarebbe) loro dovere per assistere la persona sia quando è ancora sfruttata, che durante la fase di presa in carico progettuale, che, soprattutto, dopo, quando la mancanza di opzioni per una integrazione positiva può condannare la persona a rientrare nei circuiti di sfruttamento per mancanza di alternative.

Essendo lo sfruttamento (ad esempio lavorativo) non un’eccezione in un sistema sano, ma la norma per molte filiere produttive, per contrastare il fenomeno è necessario una modifica del nostro sistema produttivo. Essendo i migranti le principali (ma non uniche) vittime di questi sistemi, è necessario mettere in campo politiche inclusive. Senza corsi di italiano, case da affittare, lavori, possibilità di accedere ai servizi sociali e sanitari, è evidente che un o una migrante non ha alternative che affidarsi a chi le/gli permette di sopravvivere e mandare soldi a casa.

Un’altra causa fondante della tratta è appunto l’impossibilità ad entrare e permanere legalmente in Italia, e quindi la condanna ad essere irregolari e ricattabili. Allora bisogna agire sulla modifica delle normative sull’immigrazione, Ma sia a livello europeo con il nuovo patto Immigrazione e asilo, che nazionale con le modifiche peggiorative apportate negli ultimi anni (dai decreti sicurezza di Salvini del 2019 alla cd legge Cutro, ai recenti inserimenti tra i paesi sicuri di Nigeria, Bangladesh, Costa D’Avorio, Egitto, che rendono molto difficile ottenere l’asilo ai cittadini di questi paesi) l’orientamento è decisamente diverso..

4. Come valutate gli attuali provvedimenti del governo italiano in tema immigrazione? Quali effetti hanno sulle persone vittime di tratta?

I decreti sicurezza del 2019 poi convertiti in legge hanno cancellato il permesso per motivi umanitari, la Legge c.d. Cutro ha complicato molto il tortuoso percorso per regolarizzarsi, le nuove normative (che peggioreranno quando sarà implementato il nuovo patto europeo asilo e migrazioni), punta a mandare le persone migranti in centri dove sarà impossibile essere raggiunte ed identificate come vittime di tratta, l’inserimento tra i paesi sicuri detti sopra fa sì che i cittadini e le cittadine di questi paesi possano essere diniegate nella loro richiesta attraverso procedure accelerate che non consentono di capire la loro reale situazione di vittime di tratta.

5. Quali sono, a vostro avviso, i cambiamenti sia a livello legislativo che culturale che dovrebbero essere apportati per contribuire ad eliminare questo fenomeno?

Il fenomeno scomparirà quando scompariranno le profonde disuguaglianze economiche esistenti, e quindi non è un obiettivo a breve termine.

Però per ridurre il numero delle vittime, e per migliorare la situazione di molte persone ed evitare che diventino vittime di grave sfruttamento e tratta, si deve intervenire sia sulle cause che sui sistemi che hanno un ruolo nel determinare la situazione delle persone potenziali vittime.

A livello normativo il problema principale sono le leggi sull’immigrazione e l’asilo da una parte, e quelle sul lavoro dall’altra. Non esistono modi legali per entrare (e permanere) in Italia, salvo i ricongiungimenti famigliari e poco altro. Anche il decreto flussi per permettere l’ingresso di lavoratori che hanno già un lavoro che li aspetta è utilizzato dalle reti criminali (e dalle aziende) per speculare e truffare i migranti. Molti pagano cifre enormi (che poi devono restituire con interessi usurai) ma poi all’arrivo non trovano il lavoro e entrano in clandestinità. Il diritto all’asilo è sempre più messo in discussione da norme che rendono impossibile presentare una domanda dopo essere stati informati, oppure fare ricorso contro una decisione delle CT negativa. Molti migranti sono vittime di tratta ma non lo sanno, ed è necessario parlarci, spiegare loro quali sono i loro diritti, ma dai decreti sicurezza del 2019 (cancellazione permesso umanitario, accoglienza nei SAI (allora SPRAR, poi Siproimi negata ai richiedenti, appalti per i CAS che non garantiscono le condizioni minime per un’accoglienza decente), e poi il cd Decreto Cutro e poi le procedure accelerate per chi proviene da “paesi sicuri” (nel 2024 sono etrati tra i paesi sicuri molti paesi da cui provengono molte vittime di tratta: Nigeria, Costa D’Avorio, Bangladesh, Egitto, …).

Questa impostazione securitaria, che si rafforzerà quando il nuovo piano europeo su Migrazioni e Asilo sarà effettivo, è al tempo stesso causa e conseguenza di un clima culturale e politico che ha trovato nei migranti (e in generale negli esclusi, quindi i poveri, o le minoranze etniche) il capro espiatorio e il nemico ideale per guadagnare consensi elettorali. L’occidente in crisi demografica, economica, valoriale teme la “sostituzione etcnica”. Gli europei (e gli americani) bianchi e poveri sono stati indottrinati a individuare in chi sta messo peggio di loro la causa del loro malessere, evitando così di mettere in discussione un sistema è sempre più polarizzato tra pochi ricchissimi e molti poveri e poverissimi.

A livello culturale è quindi inutile e dannoso fare appello ad una generica solidarietà, o al multiculturalismo come valore, senza smontare la narrazione che chi è povero lo è per colpa sua, o che chi viene da un altro paese (povero) deve accontentarsi di paghe più basse e condizioni di vita miserevoli.

In effetti oggi la tratta a scopo di sfruttamento lavorativo, o comunque il grave sfruttamento lavorativo (asservimeno, riduzione in schiavitù) sono elementi fondanti del nostro sistema economico, perché permettono di risparmiare sui costi del lavoro ( facendo anche dumping rispetto alle filiere legali) e accumulare denaro (tolto ai lavoratori). Anche qui l’impostazione culturale individualista e economica improntata al liberismo più estremo hanno radicato l’idea che i salari non si possono aumentare per non far fallire le aziende, e che chi sta su un livello di reddito basso deve dare la colpa solo a se stesso/a.

Per combattere la tratta e il grave sfruttamento si devono combattere i meccanismi che creano povertà ed emarginazione. Il progressivo smantellamento del welfare socio-sanitario è un ulteriore elemento di genesi della marginalità che porta a situazioni di sfruttamento.

Per quanto riguarda lo sfruttamento sessuale è inutile e dannoso punire clienti e/o prostitute con leggi basate su principi apparentemente incentrati sui diritti (della donna a non vendere il proprio corpo), ma in realtà derivati da una lettura moralistica dei rapporti di genere. C’è un evidente necessità di un lavoro culturale che non parli di prostituzione, ma di relazioni tra i generi, di sessualità, di affettività. L’esperienza ci dice che il cliente più che il sesso cerca il predominio (attraverso il pagamento), per compensare simbolicamente la perdita di potere che giustamente il mondo maschile sta subendo. Modificare la rappresentazione sociale dei rapporti tra i sessi aiuterebbe a crescere nuove generazioni più libere di fare scelte autodeterminate. Ma l’educazione sessuale è oggi affidata ai siti porno, dove il modello proposto è fortemente incentrato sul dominio, sulla spersonalizzazione e oggettivazione della donna, e quindi il cammino da fare è lungo.

 

*On The Road è una cooperativa con sede a San Benedetto del Tronto che lavora su progetti dedicati al sostegno di donne, uomini e persone transgender, sia adultɜ che minori, in condizioni di elevata vulnerabilità perché vittime di violenze, discriminazioni ed emarginazione sociale che subiscono limitazioni all’esercizio dei propri diritti e delle libertà individuali.

 

Foto via Medfeminismwiya.