Sedare e punire: il nuovo DDL Sicurezza reprime la protesta nei CPR

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Di Irene Proietto

Il 16 dicembre del 2023 il Consiglio dei Ministri ha approvato il nuovo “pacchetto sicurezza”, questo nuovo Disegno di Legge n.1660 rappresenta un ulteriore tassello di erosione degli spazi democratici.

 

Il nuovo “pacchetto sicurezza” rappresenta un’ulteriore tassello di erosione degli spazi democratici, in linea con la riforma del premierato. Attualmente al vaglio delle commissioni Affari costituzionali e giustizia della Camera dei Deputati, il Disegno di Legge n.1660 è stato approvato lo scorso 16 dicembre dal Consiglio dei Ministri. Il DDL mira a introdurre nell’ordinamento diverse misure dal carattere fortemente autoritario che spingono alla criminalizzazione delle lotte sociali e del dissenso, colpendo di nuovo – e con più forza – chi versa in condizioni di marginalità: maggiori condotte punibili per terrorismo, estensione del cosiddetto «terrorismo della parola», e persino la possibilità di detenzione per le donne in stato di gravidanza (una norma pubblicamente raccontata come misura anti-rom). Menzionando solo alcune delle disposizioni nel “pacchetto sicurezza”, il Governo aumenterebbe il numero delle condotte punibili per terrorismo, prevedendo fino a sei anni di carcere anche per il semplice possesso di materiali informativi sull’uso di esplosivi. Aumenterebbero anche le ipotesi di revoca della cittadinanza. Se ora il potere di revoca può essere esercitato nei confronti delle persone condannate per gravi reati che l’hanno acquisita per concessione o naturalizzazione entro tre anni dalla condanna definitiva, con il DDL sicurezza il termine verrebbe esteso a dieci anni. Si prevede anche un nuovo reato di occupazione di immobili e l’introduzione di un’aggravante per blocco stradale o ferroviario attuato “con il proprio corpo” per criminalizzare le proteste per il clima. Vengono inoltre inasprite le pene in caso di violenza o resistenza nei confronti degli agenti di polizia, ai quali potrà essere permesso l’impiego di armi da fuoco anche fuori servizio. L’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) sottolinea la natura fortemente repressiva del Disegno di Legge poiché “la maggior parte delle disposizioni ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e della rule of law”. Secondo le associazioni Antigone e Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), nel DDL «la sicurezza è declinata solo in termini di proibizioni e punizioni, ignorando che è prima di tutto sicurezza sociale, lavorativa, umana e dovrebbe essere finalizzata all’uguaglianza delle persone. Il disegno di legge del Governo strumentalizza, invece, le paure delle persone e contravviene ai doveri di solidarietà di cui all’articolo 2 della Costituzione».

La criminalizzazione della resistenza passiva

Nel vasto ed eterogeneo repertorio di misure securitarie del DDL, gli articoli 18 e 19 introducono due nuove fattispecie di reato che per la prima volta rendono punibile la resistenza passiva nelle carceri e nei luoghi di trattenimento e di permanenza per persone migranti, ricomprendendo oltre ai CPR anche gli hotspot e i centri di accoglienza. Le due disposizioni sono molto simili: l’articolo 18 prevede l’inserimento nel codice penale dell’articolo 415bis, rubricato “Rivolta all’interno di un istituto penitenziario”. Questa nuova disposizione punisce con la reclusione da due a otto anni chiunque negli istituti penitenziari promuove, organizza o dirige una rivolta «mediante atti di violenza o minaccia, di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti ovvero mediante tentativi di evasione, commessi in tre o più persone riunite». Parallelamente, l’articolo 19 del d.d.l. interviene sull’articolo 14 del Testo Unico Immigrazione (TUI) e punisce con la reclusione da uno a sei anni la stessa condotta di protesta nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), nei punti di crisi per l’identificazione (cd. hotspot), ma anche nei Centri di prima accoglienza, di accoglienza straordinaria (CAS) e nelle strutture del sistema SAI (art. 14 comma 1 lett.b TUI). 

In entrambe le disposizioni è punibile anche «il solo fatto di partecipare alla rivolta». Sono poi previste delle aggravanti nelle ipotesi in cui il fatto sia commesso tramite l’uso di armi o nella rivolta ci siano vittime o feriti che riportano lesioni gravi o gravissime. «Intimidazione di massa»: questo sarebbe l’obiettivo degli articoli 18 e 19 del DDL secondo Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. Le condotte di violenza e minaccia sono già sanzionate da altre norme penali, ma un elemento di novità è la criminalizzazione di ogni forma di resistenza passiva all’esecuzione degli ordini. Viene introdotta un’arma di ricatto rispetto alla facoltà di dissentire nei luoghi di privazione della libertà personale.

Nonostante le due disposizioni siano quasi del tutto analoghe, l’articolo 19 del DDL merita delle considerazioni a sé stanti per le criticità specifiche che riguardano gli spazi della detenzione senza reato per le persone migranti, viste le disumane e degradanti condizioni di trattenimento nei CPR. Come abbiamo messo in evidenza nel rapporto Buchi Neri, i CPR sono luoghi intrinsecamente patogeni dove la protesta, pacifica o meno, rappresenta spesso l’unico mezzo di denuncia e reclamo di diritti. Gli incendi, i danneggiamenti, i tentativi di fuga, ma anche gli scioperi della fame e gli atti di autolesionismo sono l’unico mezzo di manifestazione di dissenso rispetto alla quotidianità delle violenze e dei diritti negati nei centri. Lo dimostrano anche le diverse decisioni della giurisprudenza di merito. Per esempio, nel 2012 il Tribunale di Crotone ha assolto quattro persone per il danneggiamento del Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE) di Isola Capo Rizzuto, qualificando la rivolta come legittima difesa. I trattenuti avevano lanciato dei calcinacci dal tetto dopo aver presentato numerose richieste rimaste inascoltate dalle autorità del Centro per le pessime condizioni di detenzione. Il Tribunale, ha ritenuto che le condizioni fatiscenti dei locali del Centro comportassero una violazione del divieto di tortura (art.3 CEDU): la protesta è stata giudicata quindi legittima e necessaria a difendersi. In un’altra decisione dello stesso anno il Tribunale di Milano ha riconosciuto delle attenuazioni, non ritenendo configurabili i reati di devastazione (art. 419 c.p.) e di danneggiamento (424 co. 2), in seguito a un incendio appiccato da alcuni cittadini tunisini come forma di protesta nell’ex CIE di via Corelli. L’attenuazione, secondo il Tribunale, doveva essere riconosciuta dato il contesto «oggettivamente caratterizzato da consistenti limitazioni della libertà personale» . Agli imputati era stato infatti sequestrato illegittimamente il telefono cellulare, subendo ‘un’irragionevole contrazione’ della libertà di comunicazione. Anche nel 2021 lo stesso Tribunale di Milano (ordinanza del 30 maggio) ha negato il carcere per alcuni indagati rispetto all’incendio del settore C del CPR di via Corelli, al quale avevano avuto seguito uno sciopero della fame e atti di autolesionismo per protestare contro il cibo scaduto, la mancanza di acqua calda e l’impossibilità di chiamare liberamente i loro parenti. L’articolo 19 non trova applicazione solo nei CPR, ma anche negli hotspot, ambienti di detenzione informale priva di base legale per cui l’Italia è stata condannata nel 2016 dalla Corte europea dei diritti umani (CEDU) : la sentenza Khlaifia evidenziava l’assenza di mezzi di ricorso effettivo contro il trattenimento e le sue condizioni. Nonostante ciò l’Italia non si è mai adeguata alle indicazioni della Corte. 

Ci troviamo di fronte all’ennesima riforma che criminalizza le persone migranti e che rischia di prolungare i tempi della privazione della libertà personale, giustificando il passaggio al carcere nei confronti di chiunque osi protestare per condizioni di detenzione disumane. Se già oggi nei CPR si legittima l’impiego della forza o l’abuso di psicofarmaci per impedire ogni forma di recriminazione e di protesta, è allarmante come il nuovo ‘pacchetto sicurezza’ metta ulteriormente a repentaglio la tutela dei diritti delle persone trattenute.

 

Foto copertina via Twitter/OsservatorioDiritti