In CPR per un’opinione espressa in chat privata: il caso di S. Bensouibat

Share on FacebookTweet about this on TwitterShare on LinkedInEmail to someone
Print Friendly

A cura di Oiza Q. Obasuyi e Federica Borlizzi

 

Abbiamo intervistato La Clinica del diritto dell’immigrazione e della cittadinanza dell’Università Roma Tre in quanto supporta il team legale di Seif Bensouibat, rifugiato e insegnante nel liceo Chateaubriand di Roma, a cui prima è stato notificato un provvedimento di espulsione e poi è stato portato nel CPR di Ponte Galeria. Un caso che non solo criminalizza le minoranze ma mina lo Stato di diritto.

 

1. La “Clinica dei diritti, dell’immigrazione e della cittadinanza” è presente da quasi 15 anni nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università “Roma Tre”. Ci spiegate, preliminarmente, quali sono le attività che svolgete e come funziona la vostra attività di sportello?

La Clinica del diritto dell’immigrazione e della cittadinanza è un progetto attivo dal 2010 all’interno del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre che combina la formazione degli studenti, l’assistenza legale gratuita a migranti e rifugiati e la ricerca critica su diversi temi che riguardano il rapporto tra diritto e fenomeni migratorio: tra questi, il diritto d’asilo in una prospettiva di genere, l’accesso alla giustizia per donne trans migranti, la detenzione amministrativa, e lo sfruttamento lavorativo dei migranti. 

Dal gennaio 2012, prima in Italia, la Clinica ha attivato uno Sportello legale per migranti all’interno del Dipartimento di Giurisprudenza, aperto al pubblico tutto l’anno, una volta alla settimana, dove gli e le studenti incontrano le persone migranti e offrono orientamento ai diritti e assistenza legale sotto la supervisione di avvocati e docenti. Lo Sportello offre assistenza a una media di 150 utenti l’anno sulle diverse questioni che riguardano l’accesso alla giustizia e ai servizi dei migranti. 

La Clinica supporta il Team legale di Seif Bensouibat [da qui Seif] coordinato da Flavio Albertini Rossi, cui partecipano Nazzarena Zorzella, Arturo Salerni e Jacopo di Giovanni, in particolare nei procedimenti relativi al trattenimento e alla revoca dello status di rifugiato. La visione che guida la Clinica Legale è appunto la messa in rete del sapere e delle competenze giuridiche e, dunque, anche di ripensare la funzione sociale della professione legale e il ruolo che svolge nell’accesso alla giustizia.    

2. Attualmente state seguendo il caso di Seif Bensouibat: vorremmo chiedervi di ricostruire quanto accaduto. 

La vicenda è quella che è stata descritta ampiamente su diversi mezzi di informazione. La Clinica legale è stata coinvolta nel caso quando Seif è stato prelevato da casa e portato al Centro di Rimpatrio di Ponte Galeria, lo scorso 16 maggio, a seguito della notifica della revoca dello status di rifugiato e del permesso di soggiorno. Come Clinica legale ci occupiamo di migrazioni e asilo e, dunque, ci siamo subito messi a disposizione, poiché la revoca dello status di rifugiato priva una persona della protezione che gli era stata garantita per un rischio serio e comprovato di persecuzione, esponendola al rischio concreto di rimpatrio. 

3. Dai media abbiamo saputo che, tramite un messaggio inviato in una chat privata, è iniziata una vera e propria persecuzione per Seif..  

Sì la vicenda di Seif è quella descritta dai media, anche in maniera dettagliata. Quello che va sottolineato è che, a nostro parere, ciò che spiega l’accanimento contro Seif non è tanto il contenuto dei messaggi, quanto invece l’attuale clima di polarizzazione e di guerra, da un lato, e il fatto che Seif, in quanto rifugiato algerino, venga strumentalmente e indebitamente accostato alla retorica della radicalizzazione e del terrorismo. Questo è naturalmente gravissimo, ma non stupisce alla luce delle molteplici dichiarazioni del Ministro dell’interno, riportate dai siti ufficiali, sul mandato conferito agli apparati di sicurezza pubblica per attività di prevenzione del terrorismo che, dal 7 ottobre, hanno portato all’espulsione per motivi di sicurezza nazionale di moltissimi stranieri (https://www.interno.gov.it/it/stampa-e-comunicazione/interventi-e-interviste/piantedosi-stretta-sui-visti-turistici-arginiamo-rotta-est).  Ci sembra che non sia solo la guerra a Gaza a essere narrata dai media italiani in maniera del tutto asimmetrica, ma che anche i suoi effetti interni che abbiano ripercussioni abnormi sulla vita di specifici gruppi di persone, come nel caso di Seif. Il richiamo ai motivi di sicurezza nazionale e/o dello Stato va sempre problematizzato e guardato con sospetto poiché, dal punto di vista giuridico, implica una elevata discrezionalità, che sfocia in arbitrarietà, e un significativo affievolimento delle garanzie.  

4. Sulla base di quale motivazione Seif è stato licenziato dalla scuola in cui insegnava da ben 10 anni?  

Seif lavorava in un prestigioso liceo romano da moltissimi anni e anche questa vicenda è stata riportata dai media in modo dettagliato. Come già sottolineato non seguiamo il caso in relazione agli aspetti del diritto del lavoro ma solo quelli relativi al diritto dell’immigrazione. 

Ci preme però raccontare anche del sostegno che Seif ha ricevuto da colleghi, genitori e studenti della scuola Chateaubriand, che è organizzata in cicli scolastici che, oltre alle superiori, includono la scuola primaria e le scuole medie. Moltissimi studenti si sono stretti attorno a Seif e hanno voluto testimoniare la loro conoscenza di Seif. fin da bambini, il rapporto di sostegno e cura che, come educatore, S.B. ha sempre avuto con le e gli studenti. 

5. Perché ha anche subito la revoca del suo status di rifugiato?

La motivazione della revoca richiama, appunto, le ragioni di sicurezza dello Stato. Come in molti altri casi simili, l’amministrazione non ha fornito alcun elemento concreto che possa integrare i fondati motivi richiesti dalla norma, ma si è limitata a richiamare dichiarazioni rese ai giornali dal Ministro dell’Interno, che non hanno alcun collegamento con la vicenda di Seif.

L’espressione di sdegno e rabbia per la guerra in corso a Gaza viene chiamata in causa per mettere in dubbio la credibilità di Seif. come rifugiato. Anche questo appare gravissimo in un provvedimento ufficiale che, a nostro parere, è costruito su evidenti pregiudizi discriminatori. 

6. Come mai è stato trasferito nel CPR di Ponte Galeria e quali sono state le motivazioni della mancata convalida del trattenimento? 

La questura ha affermato che, per effetto della revoca dello status di rifugiato, fosse venuto immediatamente meno il diritto di Seif di restare in Italia; in seguito alla modifica normativa introdotta con la l. 50/2023 di conversione del d.l. 20/2023 (c.d. decreto Cutro), infatti, quando l’amministrazione decide di rifiutare o revocare la protezione internazionale, nello stesso provvedimento attesta che il cittadino straniero è obbligato a tornare nel proprio paese. Sul punto bisogna tuttavia rimarcare che tale obbligo a lasciare il territorio resta sospeso durante il decorso del termine previsto dalla legge per proporre ricorso contro la decisione e, se il ricorso è proposto, per tutta la durata del relativo procedimento. L’ordine di trattenimento, adottato contestualmente alla notifica del decreto di revoca della protezione internazionale, era quindi manifestamente illegittimo. La questura asseriva, inoltre, che il trattenimento fosse necessario perché vi era il rischio che Seif si desse alla fuga. Il Giudice di Pace ha smentito che ci fosse questo rischio, osservando che «Tale motivazione non appare plausibile atteso trattarsi di cittadino islamico [sic!] che risiede in Italia da oltre 10 anni, con un lavoro stabile, una dimora stabile (agli atti contratto di locazione), incensurato» e, quindi, non ha convalidato il trattenimento. 

7. Nonostante la mancata convalida del trattenimento, persiste il problema della revoca dello status di rifugiato, oltre che il procedimento di espulsione. Come si pensa di proseguire in merito a ciò?

Come abbiamo accennato prima, contro la decisione di revoca dello status di rifugiato che gli era stato riconosciuto Seif può proporre ricorso al tribunale, e lo farà. Non solo l’ordine di trattenimento è illegittimo, come è stato già sancito dal Giudice di Pace, ma è illegittimo anche il decreto di revoca della protezione internazionale, come dimostreremo al tribunale. Seif ha piena fiducia nella giustizia italiana.

Non è questa la sede per entrare negli aspetti tecnici che saranno oggetto del ricorso, basti comunque dire che i motivi alla base del riconoscimento dello status di rifugiato da parte delle autorità italiane nel 2013 non sono venuti meno, né evidentemente vi è alcuna ragione per ritenere che una persona come Seif, incensurata, ben integrata e amata da tantissime persone – come dimostra la solidarietà che lo circonda dall’inizio di questa vicenda – possa costituire un qualsivoglia pericolo per la sicurezza nazionale.

8. La vicenda di Seif rimane un grave episodio per un Paese che si dice democratico e un brutto segnale per le minoranze. Questo caso potrebbe avere conseguenze negative per i cittadini e le cittadine straniere che esprimono opinioni politiche?

Sì, il rischio esiste. Se, infatti, chiunque può avere problemi per quello che scrive sui social o in chat condivise con altre persone, per i cittadini stranieri il rischio è duplice, perché alle conseguenze penali e civili si aggiunge la minaccia della revoca del permesso, del trattenimento e dell’eventuale rimpatrio nel Paese di origine. Minaccia ancor più efficace quando rivolta – come nel caso di Seif – a un rifugiato oppure ancora a un titolare di protezione sussidiaria, che corre rischi persecutori o di danno grave nel caso di rimpatrio. 

Nel caso di Seif, la mobilitazione della sua rete di amicizie e contatti ha permesso di costruire solidarietà intorno al caso e di attirare l’attenzione della stampa. Evidentemente però non sempre questo accade, anzi. Molte persone migranti non hanno la rete di supporto di Seif e non sono in grado di dimostrare l’insussistenza del pericolo di fuga, né di accedere a un’adeguata tutela legale. Inoltre, questo genere di procedimenti di norma si realizza nel disinteresse assoluto da parte della stampa e della società civile.

Sul punto, è importante aggiungere che esiste anche un problema di criminalizzazione dei cittadini non italiani impegnati nelle lotte per il diritto all’abitare e sul lavoro, che negli ultimi anni si sono visti addirittura negare il riconoscimento della cittadinanza per naturalizzazione sulla base di una presunta pericolosità sociale legata appunto al loro impegno politico e sindacale.

9. È possibile parlare di una criminalizzazione nei confronti delle minoranze, a maggior ragione se arabofone e/o di religione musulmana? L’assoluta abnormità -come da voi stessi evidenziato- dei provvedimenti che hanno colpito Seif è indice di una giustizia fortemente razzista e xenofoba?

Sì, riteniamo che quello di Seif sia un caso emblematico di una giustizia razzista e islamofoba, in cui si punisce non tanto quello che la persona ha fatto o detto, quanto invece la sua appartenenza a una determinata minoranza religiosa e culturale. Seif è, infatti, stato destinatario di un provvedimento razzista e islamofobo, che lo profila come soggetto a rischio radicalizzazione in quanto cittadino algerino di religione musulmana. Ciò che non sarebbe evidentemente accaduto nei confronti di una persona con un profilo diverso, non ritenuto “a rischio” in quanto non razzializzato e socialmente stigmatizzato.

 

Hanno risposto all’intervista, per la Clinica Legale di Roma Tre, Carlo Caprioglio, Jacopo di Giovanni e Enrica Rigo

 

Foto copertina via Twitter/RomaToday