Anno nuovo, vecchie repressioni per le persone straniere detenute in Cpr

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di Oiza Q. Obasuyi

I Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) e gli hotspot continuano a essere luoghi di trattenimento in cui non esistono garanzie costituzionali e i diritti umani basilari vengono violati quotidianamente. Il 2024 si apre con nuovi pestaggi ai danni delle persone detenute, nuove disposizioni del governo che prevedono di punire chi si ribella nei Centri per rimpatri e ulteriori condanne da parte della Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu). 

“Botte di capodanno” nel Cpr di Gradisca d’Isonzo

Il nuovo anno in Cpr si apre con la denuncia di un pestaggio da parte della polizia ai danni delle persone trattenute all’interno del Centro di Gradisca d’Isonzo. Quanto sarebbe accaduto è stato riportato dalla rete No Cpr che racconta di come siano state tolte tre ore di “aria” alle persone detenute, “anticipando la chiusura delle “gabbie” alle 21 anziché alle 24. In sostanza, tre ore prima del previsto [le persone detenute] avrebbero dovuto restare sigillate nella cella senza poter accedere al cortile”. In seguito alle contestazioni da parte di alcuni trattenuti, sono quindi state chiamate le forze dell’ordine in tenuta antisommossa: una di queste, denuncia la rete No Cpr, “si è accanita con il manganello contro chi più protestava, steso sul letto”. Nonostante il consueto sequestro – che ricordiamo essere illegittimo – dei cellulari, qualche immagine è comunque trapelata e da queste ultime emergono testimonianze inerenti a un braccio totalmente ricoperto di sangue, a causa di numerose ferite con un vetro – “non è chiaro se procurate in una colluttazione vicino ad una porta a vetri o come gesto di autolesionismo”, riporta la rete – e una mano gonfia “lacerata da una manganellata” che la persona diceva di non riuscire più a muovere. 

Le proteste all’interno del Cpr di Gradisca d’Isonzo non sono rare: date le condizioni insostenibili, inumane e degradanti, la nascita di rivolte rimane l’unica forma di resistenza  per le persone detenute. Nel mese di dicembre 2023, nello stesso Cpr, alcune persone detenute hanno dato fuoco a diversi materassi, generando piccoli incendi e mentre il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha condannato la vicenda esprimendo solidarietà alle forze dell’ordine, sono passate in secondo piano le ragioni dietro alla nascita di tale rivolta. Tra le ragioni principali emergono: l’assenza di riscaldamento (e quindi docce e lavabi senza acqua calda); condizioni igienico-sanitarie oltremodo precarie (con presenza di immondizia e muffa dappertutto). Inoltre, come afferma Yasmine Accardo, referente della campagna LasciateCIEntrare, intervistata da Marika Ikonomu su Domani: “[…] erano appena arrivati cittadini tunisini molto giovani, che hanno da poco compiuto 18 anni ed erano estremamente spaventati, anche per i nuovi termini di trattenimento, estesi a 18 mesi. Le persone, dopo aver subìto il freddo di questi luoghi e aver insistito perché cambiassero le condizioni, sono arrivate a queste proteste. Hanno chiesto i diritti minimi di sopravvivenza e non hanno ricevuto nessuna risposta, se non che i riscaldamenti non funzionano”.

Di tutta risposta, il Governo, con l’emanazione del c.d Pacchetto Sicurezza, ha deciso di punire ulteriormente le persone detenute, non solo quelle in carcere, ma anche quelle nei Cpr. Il Pacchetto Sicurezza prevede la pena di 6 anni di – ulteriore – reclusione per le persone trattenute nei Cpr che organizzano e/o partecipano a rivolte. Si tratta dell’ennesimo attacco e forma di repressione nei confronti di chi, oltre a subire la privazione della libertà personale – che ricordiamo essere priva di reato commesso -, subisce anche ulteriori violazioni: dall’assenza di assistenza medica e legale, fino al divieto di comunicare con l’esterno. Il tutto avviene in un contesto privatizzato in cui, come abbiamo spiegato nel rapporto L’Affare Cpr, aziende e società massimizzano il proprio profitto gestendo il settore della detenzione amministrativa. 

Condizioni inumane e detenzioni illegittime. Le condanne della Cedu

Nell’ultimo periodo, l’Italia ha collezionato non poche condanne da parte della Cedu per via di detenzioni illegittime, anche di minori, e condizioni inumane e degradanti all’interno di luoghi di trattenimento come gli hotspot o anche gli stessi centri di “accoglienza”. 

Tra le recenti occorre evidenziare il caso di un minore non accompagnato trattenuto, totalmente solo e per cinque mesi,  in condizioni degradate e totalmente inadeguate, dal 24 giugno 2023 nel centro di accoglienza di Sant’Anna di Isola di Capo Rizzuto, a Crotone. Come denuncia l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi): “il 1° dicembre è stato quindi presentato un ricorso d’urgenza alla Corte Europea dei Diritti Umani, contestando la violazione del diritto alla libertà personale del minore (art. 5, parr. 1, 2 e 4 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), e del divieto di trattamenti inumani e degradanti nel predisporre le misure di accoglienza in suo favore (art. 3 della Convenzione)”. La Cedu, nel mese di dicembre 2023, ha conseguentemente accolto il ricorso ordinando il trasferimento del minore in quanto il trattenimento sostanziale e informale dei minori è totalmente illegittimo “ed in aperta violazione della normativa vigente e delle riserve di legge e giurisdizione previste dall’art. 13 della Costituzione italiana che sancisce l’inviolabilità del diritto alla libertà personale”. Analogamente, la Cedu, nel mese di novembre 2023, ha condannato l’Italia – che dovrà risarcire 27mila euro (più 4.000 euro di costi e spese legali) quattro cittadini sudanesi – per un caso del 2016 le persone migranti coinvolte sono state denudate, maltrattate e private della libertà personale in seguito a delle operazioni di rastrellamento a Ventimiglia. Centinaia di persone migranti sono state coattivamente trasferite negli hotspot del sud Italia e, in alcuni casi, trasferite negli allora CIE (attuali Cpr) per poi essere rimpatriate nel paese di origine. “Si tratta dell’ennesima conferma che l’Italia nega i diritti fondamentali alle persone migranti”, riporta Melting Pot Europa, “e che i governi portano avanti operazioni nei quali gli abusi e i maltrattamenti delle forze dell’ordine non sono delle eccezioni o degli eccessi di un singolo agente, ma qualcosa di strutturale e quindi sistemico”. 

Una spirale di violenza e privazione dei diritti

Nonostante le numerose denunce e condanne, sia da parte delle associazioni che da parte della Cedu, l’approccio del governo alle migrazioni non cambia. Occorre urgentemente chiudere i Cpr e superare il sistema inumano della detenzione amministrativa – sostituendolo con approcci di case management e di processi di regolarizzazione basati sul rispetto dei diritti fondamentali. Occorre infine comprendere che il problema di fondo si trova a monte ed è insito nello stesso apparato legislativo – dalla Legge Turco-Napolitano alla Bossi-Fini fino  al Decreto Flussi – che governa l’immigrazione in Italia, un sistema che di fatto incastra le persone migranti in un limbo di irregolarità e precarietà e che continua profondamente a basarsi su criminalizzazione ed esclusione sociale sistemici.

 

Foto copertina via Twitter/Dinamo Press