I cambiamenti climatici distruggeranno i nostri diritti
È stato pubblicato poche ore fa una sintesi del sesto rapporto dell’IPCC – The Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa di valutare la scienza relativa ai cambiamenti climatici. Possiamo dire che si tratta senza alcun dubbio dell’ultima chiamata per i governi affinché si superi l’impasse che si registra nella lotta ai cambiamenti climatici.
Il summary report (in attesa di quello completo che sarà pubblicato nei prossimi giorni) continua a riconoscere l’impatto delle attività umane come causa primaria alla base del riscaldamento globale, principalmente attraverso le emissioni di gas a effetto serra, con una temperatura superficiale globale di 1,1°C superiore al 1850-1900 nel periodo 2011-2020. “Le emissioni globali di gas a effetto serra – si legge nel documento – hanno continuato ad aumentare, con contributi storici e attuali diseguali derivanti dall’uso insostenibile dell’energia, dall’uso e dal cambiamento di uso del suolo, dagli stili di vita e dai modelli di consumo e produzione nelle varie regioni, tra i Paesi e all’interno di essi e tra gli individui”.
Il riscaldamento globale – spiegano gli scienziati – ha provocato cambiamenti rapidi nell’atmosfera, negli oceani, nella criosfera e nella biosfera portando a cambiamenti climatici evidenti che provocano fenomeni estremi in ogni regione del mondo, con danni enormi per la natura e le persone. Nel breve termine, si prevede inoltre che ogni regione del mondo dovrà affrontare un ulteriore aumento dei pericoli climatici, con un incremento dei rischi multipli per gli ecosistemi e gli esseri umani. Le comunità più vulnerabili, che storicamente hanno contribuito meno agli attuali cambiamenti climatici, sono colpite in modo sproporzionato, proprio a causa di questa vulnerabilità che provoca una minore possibilità di resilienza e adattamento. L’impatto dei cambiamenti climatici sui diritti umani di queste persone sarà devastante. Ma non lo sarà solo per loro. Tra i 3,3-3,6 miliardi di persone vivono in contesti altamente vulnerabili. L’aumento degli eventi meteorologici e climatici estremi ha esposto milioni di persone a una grave insicurezza alimentare e a una ridotta sicurezza idrica, con i maggiori impatti negativi osservati in molte località e/o comunità in Africa, Asia, America centrale e meridionale, Paesi meno sviluppati, Piccole Isole e Artico e, a livello globale, per le popolazioni indigene, i piccoli produttori alimentari e le famiglie a basso reddito. L’Italia non è chiaramente esente da questi pericoli. Nel 2022 nel nostro paese Legambiente ha registrato 310 fenomeni meteorologici estremi, con un aumento del +55% rispetto all’anno precedente. Eventi estremi che hanno provocato danni e 29 morti e che sono individuabili in grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità. Siccità che ha colpito l’Italia e che, come sottolineano molti esperti, metterà a rischio anche la produzione agricola italiana, che spesso dipende da bacini idrici (laghi, fiumi) che hanno livelli di acqua sempre più bassi. Solo nel corso del 2022, secondo Coldiretti, la siccità avrebbe provocato la perdita del 10% della produzione agricola nazionale.
Ma non solo diritti al cibo e all’acqua, i cambiamenti climatici stanno impattando e impatteranno sempre di più anche sul diritto alla salute delle persone. In tutte le regioni gli scienziati hanno osservato un aumento delle morti legate agli eventi di calore estremo, così come l’insorgenza di malattie di origine alimentare e idrica legate al clima e un aumento dell’incidenza di malattie trasmesse da vettori. Nelle regioni valutate, alcuni problemi di salute mentale sono associate all’aumento delle temperature, ai traumi provocati da eventi estremi e a lutti che hanno colpito le proprie famiglie e comunità, nonché alla perdita di mezzi di sussistenza.
Gli eventi estremi e i loro impatti negativi porteranno inoltre a gravi conseguenze anche per le economie. Tutti questi fattori combinati saranno dunque causa di un aumento delle migrazioni. Già negli ultimi anni si è assistito a un considerevole aumento degli spostamenti che vedevano proprio nei cambiamenti climatici la causa principale. Le persone in un primo momento si muovono all’interno dei paesi, spostandosi dalle aree montane, costiere o agricole, verso i grandi centri urbani – con un aumento dell’urbanizzazione e delle annesse disuguaglianze – con un impatto successivo sugli spostamenti transnazionali (un tema, questo, di cui avevamo parlato su Open Migration).
Quanto le violazioni dei diritti umani già in corso diventeranno sempre più impattanti dipende dalle misure che i governi vorranno e sapranno mettere in campo. Il rapporto degli esperti delle Nazioni Unite sottolinea infatti come le continue emissioni di gas serra porteranno a un aumento del riscaldamento globale, che secondo le migliori stime dovrebbe raggiungere i 1,5°C nel breve termine. Un livello fortemente preoccupante che, tuttavia, potrebbe permettere di mitigare gli effetti più dannosi degli stessi. Ogni aumento delle temperature oltre questo livello intensificherà i rischi globali e renderà più devastanti gli eventi estremi già in atto.
Riduzioni profonde e rapide delle emissioni di gas serra porterebbero a un rallentamento sensibile del riscaldamento globale entro circa due decenni, e anche a cambiamenti percepibili nella composizione dell’atmosfera entro pochi anni. Tuttavia l’impegno attuale rende tutti poco ottimisti e quanto messo in campo a oggi rende probabile, come viene scritto nel report, che il riscaldamento supererà 1,5°C nel corso del XXI secolo, rendono più difficile limitare il riscaldamento al di sotto dei 2°C. In alcune regioni, infatti, si sono raggiunti obiettivi positivi nell’adattamento al cambiamento climatico, mentre in altre, soprattutto quelle che annoverano i Paesi in via di sviluppo, si sta verificando un disadattamento.
I principali ostacoli – secondo l’IPCC – risiedono nelle risorse limitate impegnate dai governi, nella mancanza di impegno del settore privato e dei cittadini, nell’insufficiente mobilitazione di finanziamenti (anche per la ricerca), nella scarsa alfabetizzazione climatica, il basso senso di urgenza. Tutte questioni che si possono ricondurre, in qualche maniera, alla mancanza di impegno politico. Ci sono crescenti disparità tra i costi stimati dell’adattamento e i finanziamenti stanziati per l’adattamento. I finanziamenti per l’adattamento, viene spiegato nel report, provengono prevalentemente da fonti pubbliche e una piccola parte dei finanziamenti globali tracciati per il clima è stata destinata all’adattamento, mentre la stragrande maggioranza è stata destinata alla mitigazione. Il problema poi sta nel fatto che si può creare un circolo vizioso per cui gli impatti climatici potranno portare a perdite e danni che incidono sulla crescita economica dei paesi che, quindi, avranno meno risorse per combattere proprio i cambiamenti climatici e i suoi impatti.
Gli scienziati che hanno partecipato alla stesura del report ci ricordano come ci sia una finestra di opportunità che si sta rapidamente chiudendo per garantire un futuro vivibile e sostenibile per tutti. “Uno sviluppo sostenibili che passa da una maggiore cooperazione internazionale, compreso un migliore accesso a risorse finanziarie adeguate, in particolare per i paesi vulnerabili, nonché da una governance inclusiva e da politiche coordinate”. Le scelte e le azioni attuate in questo decennio, che devono dare priorità all’equità, alla giustizia climatica, alla giustizia sociale, all’inclusione e a processi di transizione giusti, avranno un impatto oggi e per migliaia di anni, l’immobilismo invece sarà una minaccia per la salute del pianeta, il benessere umano e i diritti umani.
Alcune cose già sono state fatte, ad esempio è aumentata enormemente la quantità di energia prodotta da fonti rinnovabili, cosa che potrebbe trovare ulteriore impulso soprattutto attraverso finanziamenti per i Paesi in via di sviluppo. Inoltre, le politiche applicata hanno contribuito a ridurre la deforestazione e, nel dicembre 2022, oltre 190 nazioni hanno firmato un impegno delle Nazioni Unite sulla biodiversità per proteggere il 30% del mondo naturale entro il 2030. Non solo i governi, ma anche i cittadini possono fare la loro parte, ad esempio privilegiando mezzi di trasporto pubblico a quelli privati o biciclette al posto delle automobili. E spingendo i governi stessi a farsi promotori di politiche adeguate per ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici.