Un ricordo dell’avvacato Marcello Gentili
In questi giorni ci ha lasciato Marcello Gentili protagonista nella sua lunga carriera da avvocato di alcuni tra i processi più significativi della storia italiana. Il suo lavoro ha aiutato a far chiarezza su alcune delle pagine più buie della nostra storia recente come nel caso dei desaparecidos italiani durante le sanguinose dittature sudamericane. Proprio per il suo impegno nel processo italiano al Plan Condor, nel 2016, a lui abbiamo consegnato il premio Cild per le libertà civili. Vogliamo ricordarlo con questo articolo di Maria Paz Venturelli – figlia di Omar Venturelli, desaparecido in Cile nel 1973 all’indomani del golpe realizzato dal generale Pinochet – pubblicato su Il Manifesto di oggi.
Ho conosciuto Marcello Gentili vent’anni fa. L’ho conosciuto quando ormai avevo perso le speranze di poter aprire un processo in Italia per la scomparsa di mio papà, Omar Venturelli, avvenuta in Cile nel 1973 all’indomani del golpe realizzato dal generale Pinochet. Quando l’ho incontrato era già anziano, un uomo imponente, dagli occhi dolcissimi, dall’intelligenza vivissima e lo spirito entusiasta. È stato l’avvocato che ha rappresentato sia me che mia mamma per tutti questi anni, insieme all’avvocato Giancarlo Maniga e al giovane Nicola Brigida, lavorando con caparbietà nel portare avanti il difficilissimo compito di veder riconosciuta in tribunale la verità sull’assassinio e la scomparsa di mio papà e di fare giustizia per l’accaduto.
In tutti questi anni l’ho visto studiare, scrivere, leggere aiutato dalle sue grosse lenti e discutere in aula con convinzione e immutata chiarezza, forse per questo pensavo che avrebbe continuato per sempre, che il suo anziano corpo avrebbe semplicemente seguito questo spirito vitale. Sono certa che avesse ancora tantissime mete da affrontare, si potevano vedevano dai suoi occhi quando parlava del suo lavoro.
Marcello è di famiglia ebrea, dovettero tutti fuggire in Svizzera a causa delle leggi razziali, lui poi tornò a Milano per unirsi alla resistenza e durante i giorni della liberazione era partigiano a Milano. Questo non è sufficiente a spiegare il suo immenso impegno civile, il lavoro fatto senza aspettare mai un compenso (sarebbe stato impossibile per noi familiari sostenere i costi di processi così lunghi e impegnativi). Può aiutare a spiegare la sua conoscenza profonda del significato che la ha repressione per la vita delle persone, può spiegare come mai ci sentissimo complici e perché i familiari delle vittime sentissero di potersi fidare di lui senza riserve.
Ha cominciato a lavorare con Giandomenico Pisapia a Milano per poi aprire il suo studio in Piazza 5 giornate. Tutta la sua vita professionale è stata una vita di impegno civile, di vicinanza ai familiari delle vittime.
Ha avuto il coraggio di affrontare, insieme ai familiari, quello che era necessario che la storia affrontasse per quanto complesso, lungo e difficile. Andò insieme a Giulia Spizzichino, familiare di 26 persone uccise ad Auschwitz e alle Fosse Ardeatine, fino a Bariloche in Argentina per permettere l’estradizione di Erich Priebke in Italia, che permise anche la condanna del tenente Karl Hass. Dagli anni Settanta si occupò del processo per la strage di Piazza Fontana, e del processo Calabresi in cui era imputato anche Adriano Sofri, è stato difensore della vedova Pinelli. Ha avuto un ruolo importatissimo del processo sul caso di Walter Tobagi che ha visto il pentimento di Marco Barbone.
È stato anche impegnato per le parti civili del disastro della Val di Stava che nel 1985 causò 268 morti, e il cui processo portò alla condanna dei vertici della Montedison.Negli anni Novanta ha affrontato, insieme all’avvocato Maniga, i primi processi per ottenere giustizia su quanto accaduto ai cittadini italiani scomparsi durante il regime in Argentina, ottenendo le prime sentenze di condanna in Italia. Da questo seme ha avuto origine il processo conosciuto come “Processo Condor” che si è celebrato a Roma dopo una gestazione di più di 10 anni e la cui sentenza di appello si è conclusa con la condanna all’ergastolo di 24 ex capi di stato e agenti dell’esercito delle dittature sud americane di Cile, Bolivia, Argentina e Uruguay.
Quella sentenza d’appello è stata l’ultima arringa in aula di Marcello Gentili, dove con assoluta lucidità descriveva le ragioni della condanna dei responsabili della morte e della scomparsa di mio papà, Omar Venturelli. È stato un atto di generosità immensa che ha cambiato la mia vita e quella di tanti altri familiari di scomparsi e vittime di dittatura, che resterà come monito importantissimo per ogni governo che consideri la violazione dei diritti umani uno strumento di vittoria politica. Marcello ha vissuto pienamente, con il suo lavoro, con la sua arte, il suo grande impegno. Ci lascia tantissimo e ci mancherà tantissimo, per quanto avrebbe ancora realizzato e per quanto gli abbiamo voluto bene.
Domani 12 l’addio nella sua Milano
È morto nella sua Milano, all’età di 90 anni – per una vita d’impegno civile – l’avvocato Marcello Gentili. I funerali si svolgeranno 12 febbraio alle ore 14.30 nella Chiesa di San Pietro in Sala a Piazza Wagner a Milano.