Cassazione e cannabis light, la soluzione deve essere politica
Ieri la Corte di Cassazione ha sancito il divieto di vendere o cedere a qualunque titolo i prodotti “derivati dalla coltivazione della cannabis sativa”. In parole povere che la cannabis light potrebbe essere illegale. Una decisione che crea grande dispiacere, ma soprattutto delusione.
La sentenza accoglie il ricorso del pm di Ancona, Irene Billotta, che si era opposta al dissequestro dei prodotti derivati della cannabis venduti da un commerciante della città dorica.
Ora bisognerà attendere il deposito delle motivazioni delle Sezioni Unite, ma la sentenza, interpretando in maniera molto restrittiva la legge 242 del 2016, ribalta i precedenti orientamenti sull’argomento.
Bisognerà inoltre verificare a cosa porterà questa sentenza che, a nostro parere, non potrà incidere in maniera indiscriminata sui canapa shop. Infatti, al di sotto della percentuale dello 0,5 di Thc, la sostanza non può essere definita drogante e, dunque, non dovrebbe poter essere possibile proibirne la vendita.
Nel dispositivo della sentenza si legge infatti che “la commercializzazione di cannabis sativa e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole”.
Al di la di questi aspetti la questione va oltre alla pronuncia della Cassazione. In Italia, da sempre, da parte della classe politica c’è una vera e propria miopia sulla cannabis light. Da decenni si pensa di affrontare la questione droghe con politiche repressive e proibizioniste. Ma quello della cannabis è un fenomeno di massa. Stando ai più recenti dati Istat oltre 6 milioni di persone (il 10% della popolazione italiana) hanno fatto o fanno uso di cannabis. Affrontare con lo strumento penale un fenomeno di questa portata non solo è inefficace, ma perfino controproducente. Sappiamo storicamente a cosa porti il proibizionismo.
Gli unici a giovare di politiche repressive sugli stupefacenti sono coloro che appartengono alla criminalità organizzata
Un recente articolo della rivista scientifica European Economic Review rivela come l’apertura dei cannabis shop in Italia abbia avuto, come effetto immediato, una riduzione dello spaccio del 14%, con una diminuzione del fatturato delle mafie per almeno 100 milioni di euro.
I consumatori che fino a ieri si recavano in questi negozi se dovessero essere chiusi in massa, domani torneranno a rivolgersi al mercato illegale. E quei proventi saranno poi investiti in attività lecite o illecite: appalti, corruzione, usura, pizzo.
Un vero regalo alle mafie e all’illegalità.
La pronuncia di oggi della Corte di Cassazione aggiunge una fattispecie di reato all’art. 73 del DPR 309/1990: nei prossimi mesi avremo modo di osservare come questo inciderà sulla valutazioni che, di volta in volta, dovranno dare i giudici delle singole corti. Noi, insieme a tante altre associazioni continueremo la nostra battaglia per l’abrogazione di questa legge e per la legalizzazione della cannabis.