Droni armati: gli interessi europei in gioco
I paesi europei utilizzano droni militari o stanno ampliando le loro operazioni che ne prevedono l’uso. Alcuni hanno sviluppato autonomamente programmi e politiche ad hoc, mentre altri sono impegnati a vari livelli in operazioni statunitensi o internazionali, per esempio fornendo sostegno logistico o tecnico ai programmi americani in vari paesi da cui vengono condotti attacchi con droni armati.
Come abbiamo già visto nelle nostre precedente analisi sulla diffusione degli attacchi con i droni, negli ultimi otto anni gli Stati Uniti hanno ampliato le loro attività e l’amministrazione Obama ha fatto regolarmente uso di droni armati in ambiti bellici e non. Gli attacchi sono aumentati di numero e d’intensità, così come sono cresciuti la rete delle operazioni di guerra con i droni e il numero dei paesi che ne fanno parte.
Chris Cole, fondatore della ONG britannica Drone Wars, analizza da anni l’uso dei droni armati, e di recente ha rivolto la sua attenzione all’uso crescente di questi strumenti da parte dei paesi europei.
La Francia, il Regno Unito, la Germania e l’Italia sono i paesi europei che più utilizzano i droni, e i più impegnati nelle operazioni di guerra che prevedono il loro uso. Cole e Drone Wars studiano da tempo il ruolo di questi paesi negli scenari internazionali.
“Direi che in termini di droni armati il paese più avanzato è il Regno Unito, in quanto unica nazione europea che già li utilizza”, ha raccontato Cole, per poi aggiungere: “ma molti altri paesi europei, soprattutto la Francia e l’Italia, stanno sviluppando sempre più le tecnologie”.
Alla fine del 2016 il Regno Unito ha annunciato l’acquisto di 10 nuovi Reaper, raddoppiando così il numero di droni della flotta nazionale. Stando a un’analisi di Drone Wars, da aprile a giugno del 2016, c’è stato un aumento di attacchi contro l’ISIS condotti dai droni britannici in Iraq e in Siria; giugno è stato il mese più attivo finora, con un totale di 31 attacchi. Drone Wars ha pubblicato poi un rapporto completo sul coinvolgimento del Regno Unito nelle operazioni con i droni contro l’ISIS dal 2014 al 2017. Secondo il rapporto, il 22 per cento dei 726 attacchi aerei condotti in Iraq e in Siria nel 2016 è stato effettuato da droni Reaper inglesi. Per Cole, l’impiego dei droni armati da parte del Regno Unito solleva questioni di trasparenza e accountability simili a quelle delle operazioni americane:
“Credo che l’uso dei droni inglesi non sia accompagnato da chiarezza e trasparenza sufficienti. Per esempio, il governo non vuole dire quanti Reaper inglesi sono impegnati nelle operazioni contro l’ISIS, o quali siano le basi dei droni armati sul suolo inglese. Perciò non sappiamo bene se alcuni di questi droni vengano usati anche altrove. Il governo inglese si rifiuta di dirlo ‘per motivi di sicurezza nazionale’”.
Insieme al Regno Unito, l’Italia è il secondo paese europeo ad ottenere l’approvazione degli Stati Uniti ad armare i propri droni. L’OK degli americani è arrivato a novembre del 2015, ma secondo Chris Cole non è ancora chiaro se la flotta di droni italiana sia dotata di missili: “Non sono sicuro che l’Italia abbia già droni armati. Sappiamo che ha ricevuto dagli USA il permesso di armarli, ma non abbiamo la conferma che ciò sia effettivamente già accaduto”. Cole aggiunge che il motivo potrebbe essere di natura tecnica: “Può darsi che servano velivoli nuovi in grado di lanciare missili. Se così fosse, l’Italia ci metterà un po’ ad ottenerli, in attesa che la produzione sia terminata. Speravo che gli attivisti italiani riuscissero a reperire qualche informazione in più al riguardo.”
Secondo le analisi di Drone Wars, l’Italia possiede attualmente 9 droni Predator e 9 Reaper, impiegati per scopi diversi. Ad esempio sono stati utilizzati nel 2011 per sorvolare la Libia, durante le operazioni che portarono alla caduta del regime di Mu’ammar Gheddafi. I droni italiani sono stati adoperati anche per attività di sorveglianza sul Mar Mediterraneo nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum e del sistema di sorveglianza delle frontiere Eurosur per monitorare i flussi migratori verso l’Italia e coordinare le operazioni di salvataggio. Oltre a possederne di suoi, l’Italia è impegnata anche nei programmi di droni statunitensi, e a partire dal febbraio del 2016 ha concesso agli Stati Uniti l’uso della base navale di Sigonella in Sicilia, come stazione di lancio per attacchi contro l’ISIS in Libia e altri paesi. Il ruolo di Sigonella nelle operazioni di droni americane non è documentato e scarsamente indagato. Stando a una inchiesta pubblicata da L’Espresso alla fine del 2015, Sigonella è destinata a diventare un nodo importante nella rete delle operazioni di droni, al pari della base tedesca di Ramstein.
In tutto questo l’Italia e la Germania giocano un ruolo simile nell’ambito delle operazioni americane, spiega Chris Cole, sebbene la società civile abbia reagito in maniera diversa alle implicazioni etiche e politiche: “Anche l’Italia e la Germania hanno contribuito alle operazioni di droni statunitensi, con il coinvolgimento di basi militari sui territori nazionali. In Germania ciò ha suscitato proteste e richieste di maggiore trasparenza. In Italia invece il ruolo di Sigonella è meno chiaro, e c’è stata poca chiarezza. Come valutare il ruolo dell’Italia in questo contesto? Sigonella è una base molto importante per i droni, e abbiamo bisogno di fare molte più ricerche sul suo ruolo”. Diversamente da quanto è accaduto in Italia, il coinvolgimento di basi e strutture in territorio tedesco ha suscitato proteste e azioni legali. La Germania possiede anche una sua flotta di droni, prodotti da fabbricanti tedeschi o acquisiti da Israele, che opera in Mali e in Afghanistan. Per il momento l’arrivo di droni tedeschi armati è ancora in forse, e il paese acquisterà nuovi droni entro il 2025.
La Francia è a sua volta fra i paesi europei più attivi per quanto riguarda i droni. Parigi possiede una flotta di 5 droni militari, che impiega sin dal 2014 nell’ambito dell’operazione Barkhane di cui è alla guida, finalizzata a combattere il terrorismo in Mali, Burkina Faso e in altri paesi della regione del Sahel. I droni francesi non sono armati, e vengono invece usati a scopo di sostegno e integrazione di altri velivoli. Anche la Francia prevede poi di ampliare la sua flotta con l’acquisto di altri droni entro il 2019. Un altro sviluppo interessante per gli anni a venire riguarda la costruzione e la fabbricazione autonoma di droni, per sottrarre l’Europa alla dipendenza dalle tecnologie statunitense e israeliana.
“I paesi europei, a mio parere, hanno più o meno deciso che tentare di riprodurre i droni di ultima generazione non è fattibile economicamente, dato che sia gli Stati Uniti che Israele sono molto più avanti; così, per le tecnologie attuali, i paesi europei stanno pensando di rivolgersi agli Stati Uniti e Israele per acquistare droni”, spiega Chris Cole. “Allo stesso tempo, però, stanno anche cercando di competere con gli Stati Uniti e Israele (e con la Cina) per lo sviluppo della prossima e più avanzata generazione di droni; sia la Francia sia il Regno Unito hanno avviato delle cooperazioni, e vari altre nazioni europee stanno cercando di sviluppare il drone avanzato nEUROn.” Inoltre nel 2015 Francia, Italia e Germania hanno firmato un accordo per lo sviluppo congiunto di un drone militare europeo, che dovrebbe essere operativo entro il 2025.