La storia di Marco Cavallo

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Marco cavallo è da cinquantadue anni simbolo della rivoluzione di Franco Basaglia che da Trieste si è propagata nel mondo. Si tratta di una scultura di legno raffigurante un cavallo, alta quasi quattro metri, di colore azzurro, realizzata da un gruppo di artisti nel 1973 all’interno del manicomio di Trieste. L’opera si ispira ad un vero cavallo, impiegato per il trasporto della biancheria e dei rifiuti, salvato poi dalla macellazione; mentre il nome “Marco” fu dato dai pazienti della struttura. L’idea nasce da un’idea di Vittorio Basaglia e dell’allora direttore dell’ospedale psichiatrico Franco Basaglia e in poco tempo diventa il simbolo della lotta etica, politica e medica a favore della legge sulla chiusura dei manicomi.  

Quando il cavallo fu costruito, nessuna porta era abbastanza grande da permettere l’uscita. Questa impossibilità divenne metafora dello stato di reclusione dei pazienti. Per portarlo all’esterno vennero abbattuti alcuni muri della struttura e questo fu visto come un gesto di liberazione concreta per dare voce e spazio alla dignità delle persone. 

La lotta e il simbolo di Marco Cavallo hanno contribuito in modo decisivo alla promulgazione della Legge Basaglia (L. n. 180/1978) che ha portato alla chiusura dei manicomi, sostituendo 

la vecchia concezione di ospedale psichiatrico come luogo di detenzione con un nuovo modello basato sul rispetto e la dignità dei pazienti. Si è abolito il trattenimento custodialistico, segregazionista e coercitivo, per un modello basato sull’integrazione sociale, la riabilitazione e il rispetto della persona. 

Oggi Marco Cavallo è tornato in piazza, questa volta per denunciare quanto avviene nei CPR italiani. Il progetto è stato lanciato dal Forum Salute Mentale, insieme ad un’ampia rete di associazioni. I CPR, come i manicomi, sono spazi di esclusione: luoghi in cui vengono confinate persone per separarle dal resto della società, luoghi di privazione di ogni diritto, in cui la dignità viene calpestata. Allora con i pazienti psichiatrici, oggi con le persone migranti, assistiamo all’uso frequente della forza fisica da parte di agenti di polizia e degli enti gestori, all’uso massiccio di psicofarmaci come strumento di sedazione e ad una mancanza totale di informazione e trasparenza. 

Il viaggio di Marco Cavallo ha già incontrato diverse città: il 6 settembre è partito da Gradisca d’Isonzo, per poi raggiungere Milano, Roma, Potenza. Altre tappe sono ancora in programma: l’8 ottobre sarà infatti a Brindisi e il 10 concluderà il cammino a Bari. A Roma, noi di CILD siamo stati presenti dinanzi al CPR di Ponte Galeria per portare la nostra solidarietà e ribadire la necessità di chiudere questi luoghi di privazione e violenza. 

La presenza di Marco Cavallo davanti al CPR di Ponte Galeria ci ricorda che la dignità non può essere rinchiusa. Come CILD, conosciamo bene cosa accade dietro quelle mura: lo vediamo durante le nostre visite di monitoraggio e lo abbiamo denunciato nel report Chiusi in gabbia, pubblicato lo scorso novembre, dove abbiamo documentato le gravissime violazioni nel CPR romano.

In questi luoghi abbiamo incontrato persone private della libertà sottoposte a condizioni indegne, a isolamento, a violenze, a un uso massiccio di psicofarmaci, molte di queste in condizioni di salute fisica o mentale totalmente incompatibili con la reclusione, come nel caso di C.F., persone con gravi vulnerabilità psichiche tenute in isolamento per mesi.  Tutto ciò avviene nel silenzio e nell’opacità istituzionale, in spazi che riproducono la stessa logica manicomiale che Marco Cavallo aveva contribuito a rompere.

I CPR, come i manicomi di un tempo, sono luoghi di esclusione che negano umanità e diritti, per questo non possono essere riformati: devono essere chiusi. Nei CPR si incontrano persone migranti rinchiuse senza aver compiuto alcun reato, trattenute unicamente in nome di una presunta sicurezza che in realtà nasconde marginalizzazione e repressione. Proprio come i manicomi, anche i CPR mostrano quanto sia ingiusto un sistema di segregazione. 

Non è un caso che Nicola Cocco, infettivologo e medico di SIMM abbia parlato di una  “deriva manicomiale” per descrivere questi luoghi, caratterizzati da condizioni di forte isolamento e precarietà sanitaria, in cui spesso vengono confinate persone già fragili o con disturbi mentali. La stessa “logica manicomiale” sottesa al trattenimento nei CPR è stata inoltre riconosciuta dalla stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel caso di C.F., persona trattenuta per 9 mesi nel CPR romano di Ponte Galeria, e liberata in seguito a un ricorso ex art. 39 promosso anche da CILD. Difatti, numerosi sono i casi documentati di persone migranti con problemi psichici trattenuti nei CPR. Queste strutture sono realtà patogene e in quanto tali non sono idonee a trattenere nessuno, tantomeno persone vulnerabili. 

Marco Cavallo è tornato in piazza per questo: per ricordarci che nessuna libertà è garantita finché esistono i CPR e per chiedere a gran voce di chiudere questi buchi neri in cui la dignità e i diritti fondamentali vengono calpestati.

Ph. Giulia Tomassetti Pellegrini