Il Decreto Sicurezza per scavalcare il Parlamento
– Di Marco Biondi
Venerdì 4 aprile, il governo con un decreto ha adottato il tanto discusso Decreto Sicurezza, già definito da Antigone il più grande attacco alla libertà di protesta della storia repubblicana, Decreto che è stato firmato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella venerdì 11 aprile. Come scrive l’Osservatorio Repressione, “approvato nel settembre 2024, il DDL 1660 era rimasto bloccato per mesi a causa di ostacoli politici e finanziari. Inoltre, l’intervento del Quirinale, che aveva richiesto la revisione di alcuni articoli, aveva accentuato le tensioni all’interno della maggioranza”. I cambiamenti rispetto al testo originale sono comunque pochi, dei 38 articoli in discussione solo 6 sono stati “limati” perché a rischio incostituzionalità, ma l’impianto rimane sostanzialmente invariato, spiega ancora l’Osservatorio repressione.
Secondo le indiscrezioni della stampa, tra le modifiche apportate rispetto al testo precedente, le persone migranti non avrebbero dovuto più mostrare un permesso di soggiorno valido per ottenere una sim, solamente un semplice documento di riconoscimento, tuttavia il comunicato del Governo lascia intendere altro.
Ad essere modificato c’è anche l’articolo 31 del ddl 1660, che in origine imponeva agli enti pubblici — comprese università e Rai — di collaborare obbligatoriamente con i servizi segreti, anche a costo di bypassare le leggi su privacy e riservatezza. Come già avevamo spiegato, l’articolo 31 del ddl disegnato dal ministro dell’Interno Piantedosi prevedeva infatti che “le pubbliche amministrazioni e i soggetti che erogano servizi di pubblica utilità sono tenuti a prestare al Dis, all’Aise e all’Aisi collaborazione e assistenza necessarie per la tutela della sicurezza nazionale”. Inoltre, permetteva ai servizi segreti di stipulare convenzioni con questi soggetti, nonché con le università e con gli enti di ricerca, prevedendo la comunicazione di informazioni anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza.
Nella versione finale del decreto tale obbligo è stato trasformato in una facoltà, subordinata però al rispetto della normativa sulla protezione dei dati.Nonostante queste modifiche, tuttavia, il decreto mantiene l’impianto totalmente repressivo che caratterizzava il disegno di legge come spiega Antigone: “Nulla di rilevante è cambiato sulla criminalizzazione della disobbedienza civile. I detenuti sono trattati come rivoltosi anche se resistono passivamente a qualsiasi ordine dato da un poliziotto; non si specifica che l’ordine debba essere legittimo”, afferma Patrizio Gonnella, Presidente dell’associazione.
E a proposito di persone detenute, le persone rinchiuse nei CPR subiranno un’ulteriore forma di repressione, ricordiamo che: “[…] è punito con la reclusione da 1 a 6 anni chi promuove, organizza e dirige una rivolta, mentre la sola partecipazione prevede una pena da 1 a 4 anni. Nel caso in cui vi sia un utilizzo di armi, si rischiano da 2 agli 8 anni, mentre se nel corso della rivolta qualcuno rimane ucciso o riporta lesioni gravi o gravissime (anche nel caso in cui l’uccisione o la lesione personale sia avvenuta immediatamente dopo la rivolta e in conseguenza di quest’ultima) la reclusione prevista va dai 10 ai 20 anni” si legge su La Via Libera.
“Il decreto introduce nuove misure a tutela delle forze dell’ordine: “il decreto aumenta le pene per chi aggredisce poliziotti, carabinieri e vigili del fuoco, con sanzioni da 2 a 5 anni per lesioni semplici, da 4 a 10 per lesioni gravi e da 8 a 16 per lesioni gravissime. Viene introdotto anche un finanziamento di 10 milioni di euro per l’uso delle bodycam da parte degli agenti e un rimborso fino a 10.000 euro per le spese legali degli agenti indagati per fatti di servizio. Se l’agente sarà riconosciuto colpevole con dolo, dovrà restituire l’importo ricevuto”, riporta Info Aut.
Come scrive A Buon Diritto, “si regalano ampi spazi di discrezionalità alle forze di polizia, si introducono nuovi reati, e vengono aumentate pene per reati già esistenti. Le conseguenze sul sovraffollamento carcerario, già drammatico e insostenibile, saranno gravissime. Gravissimo è anche il messaggio che viene portato avanti. Continua e si inasprisce l’accanimento su chi si oppone a un sistema diseguale e ingiusto ma anche su fasce della popolazione già marginalizzate ed escluse: persone in movimento e straniere, detenut*, studenti lavorator” che scioperano, persone che non hanno una casa, attivista per il clima, cittadina che sui territori protestano contro la costruzione di grandi opere”.
Il nuovo Decreto Sicurezza è stato approvato aggirando il dibattito parlamentare che da novembre 2023 interessava il testo del DDL 1660. Ma per il governo, i tempi della democrazia sono un ostacolo: meglio un decreto legge, da convertire in 60 giorni senza confronto con la società civile e possibilità di partecipazione o ascolto. Utilizzare infatti un decreto legge per agire su temi così delicati significa aggirare il dibattito parlamentare, silenziare le opposizioni e comprimere lo spazio democratico.
Come CILD lo denunciamo da anni: l’abuso della decretazione d’urgenza è una grave distorsione del processo democratico, usata per imporre riforme securitarie senza confronto, senza trasparenza, senza opposizione.
Questo provvedimento non tutela la sicurezza, non reprime il dissenso, la protesta, la marginalità. Si tratta di un attacco alla libertà, non di una risposta ai problemi del Paese.