Siamo al fianco di Greenpeace

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Greenpeace Usa e Greenpeace International sono state condannate a risarcire 660 milioni di dollari ad Energy Transfer (ET) per una causa temeraria che questa azienda aveva promosso contro l’organizzazione ambientalista, accusata di aver organizzato le proteste contro l’oleodotto Dakota Access Pipeline, una infrastruttura controversa che ha portato la rete globale di Greenpeace ad agire in solidarietà pacifica con i leader indigeni del movimento di Standing Rock. 

 

Da parte sua Greenpeace ha sottolineato di non essere affatto la promotrice di queste proteste, partite invece dalle popolazioni indigene che vivono in quell’area e di come, proprio l’accusa mossa contro l’organizzazione, cancelli per altro la leadership indigena.

 

La sentenza acquista un livello enormemente problematico e senza una forte reazione internazionale potrebbe cambiare per sempre le forme di protesta non violenta che abbiamo conosciuto fino ad oggi e che hanno costruito anche tanto delle nostre democrazie, sia nel concreto che nell’immaginario. 

 

Negli Stati Uniti ci sono già precedenti di sentenze che hanno cambiato la storia del paese, secondo l’effetto del piano inclinato. Basta pensare a due decisioni della Corte Suprema, First National Bank v. Bellotti (1978) e Citizens United v. FEC (2010), che hanno avuto impatti problematici profondi, soprattutto sul piano della qualità della democrazia e dell’uguaglianza politica. Nel caso della sentenza Bellotti si riconobbe alle imprese il diritto alla libertà di espressione politica, come gli individui. Se non che, avendo le imprese risorse economiche enormemente superiori rispetto ai cittadini comuni, possono usare questo “diritto” per influenzare massicciamente il dibattito pubblico e i risultati elettorali. La sentenza del 2010, invece stabilì che le restrizioni sul finanziamento indipendente delle campagne da parte di società e sindacati erano incostituzionali. Questo portò alla nascita di Super PACs, comitati che possono raccogliere e spendere somme illimitate per supportare o attaccare candidati, purché non coordinino le loro attività direttamente con le campagne. Il problema che derivò da questa decisione fu che chi ha accesso a grandi somme di denaro può avere un’influenza politica enormemente superiore, minando il principio democratico di “una persona, un voto”.

 

In entrambi i casi il risultato è stato di quello di creare uno squilibrio tra la voce delle élite economiche – e in particolari delle grandi aziende – e quella dei cittadini, trasformando il denaro in uno strumento di potere e influenza politica, accentuando la distanza tra cittadini comuni e grandi interessi economici.

 

Questi due esempi ci raccontano di come una sentenza possa avere un impatto enorme e crescente, con approcci che possono andare ad estendersi anche in altri Paesi, minando anche le democrazie e la partecipazione democratica. 

 

Per questo siamo al fianco di Greenpeace in questa battaglia che è anche una battaglia per difendere le nostre democrazie.