Le pessime condizioni del Cpr di Milano a un anno dalla prima ispezione
di Oiza Q. Obasuyi.
Lo scorso maggio, una delegazione composta dal Senatore Gregorio De Falco e la Senatrice Simona Nocerino, insieme alla rete No Cpr, ha effettuato un’ispezione nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) di Milano, in via Corelli. Dall’ispezione è nato il secondo rapporto “Delle pene senza delitti. Istantanea del Cpr di Milano un anno dopo”, uscito nel mese di luglio, sulle condizioni all’interno del Centro.
A distanza di un anno la situazione non è cambiata ed è addirittura peggiorata. Innanzitutto è stata evidenziata la scarsa trasparenza del sistema amministrativo dei Cpr. La gestione del Centro è stata affidata all’azienda Engel s.r.l e, fin da subito, viene sottolineato dal Senatore De Falco, è stata colta la riluttanza del direttore del Centro, Alessandro Forlenza, nel permettere alla delegazione di poter visionare l’attestazione prefettizia sulla regolarità del subentro di un’altra azienda per la gestione del Cpr di Milano e di Palazzo San Gervasio, ossia Martinina s.r.l. “La delegazione, nel corso dell’accesso, ha dovuto fare i conti con un comportamento, tenuto dal direttore del Centro ma non solo, che non si addice per certo a chi opera con la massima trasparenza e crede che quest’ultima sia una delle regole principali del comportamento della pubblica amministrazione (tanto più quando si tratta di un istituto di privazione della libertà individuale delle persone)”, viene evidenziato nel rapporto.
Per quanto riguarda il diritto alla salute delle persone trattenute, nel rapporto vengono sottolineate come continuino le gravi violazioni inerenti all’idoneità al trattenimento e agli accordi mancati tra Prefettura e l’Agenzia Tutela della Salute (Ats): le certificazioni di idoneità risultano limitate a una mera verifica di negatività al Covid e di inesistenza di malattie infettive, continuando quindi a violare la disposizione dell’art. 3 del Regolamento CIE che prevede che la verifica coinvolga invece anche eventuali “stati psichiatrici, patologie acute o cronico degenerative che non possono ricevere le cure adeguate in comunità ristrette”. A questo proposito si aggiunge un altro tassello sulla trasparenza scarsa o assente nella gestione del Cpr di Milano, ossia il negare l’accesso alle cartelle cliniche delle persone trattenute – nonostante tra i richiedenti all’accesso di tali cartelle vi fossero anche i diretti interessati. Infatti, scrive De Falco “[…] si è dovuto registrare un netto rifiuto alla consegna della documentazione clinica da parte del gestore (su indicazione della Prefettura, secondo quanto riferito da quest’ultimo), […] pregiudicando il successo dell’approfondimento oggetto del sopralluogo, ma soprattutto ledendo, per l’ennesima volta, i diritti delle persone, per molte delle quali tale consegna avrebbe potuto significare la liberazione”.
Diversi sarebbero i casi di trattenimento illegittimo che riguarda persone affette da patologie fisiche o psichiatriche gravi tra autolesionismo e tentativi di suicidio. Nel rapporto si parla di D.D, un giovane che soffre di epilessia e che nei giorni precedenti all’ispezione non solo aveva avuto due crisi gravi ma aveva anche tentato il suicidio; C.S., una volta portato in ospedale per effettuare una gastroscopia, è stato riportato indietro con la spiegazione che il gestore aveva appreso che avrebbe dovuto pagare il ticket e non aveva inteso farlo; M.B, con il piede fratturato, non ha potuto farsi visitare per il rifiuto del gestore di pagare quanto dovuto – “e oltretutto è rimasto per diverse settimane con prescrizione di stampelle, che nel Centro non sono consentite né quindi fornite, e ciononostante non è stato rilasciato”, si legge nel rapporto. A quest’ultimo ha contribuito anche un medico, il dr. Nicola Cocco che ha riportato il gravissimo stato di abbandono e mancanza di cure e tutele di quelli che lui definisce dei veri e propri “detenuti”, nonostante chi è costretto a rimanerci non abbia commesso alcun reato. Cocco ha quindi evidenziato la presenza massiccia e ingiustificata della polizia durante i primi colloqui con le persone trattenute, condizionando l’andamento dei colloqui con queste ultime, che non erano a proprio agio. Inoltre, secondo il medico, si riscontra la totale “mancanza di un sistema di valutazioni specialistiche interne alla Struttura o presso strutture sanitarie esterne pubbliche o convenzionate per i principali quadri clinici riscontrati. Non è presente uno screening infettivologico all’ingresso. Eventuali esami laboratoristici o strumentali vengono eseguiti al bisogno presso le strutture ospedaliere di Milano”. A ciò si aggiunge “la presenza di quadri psichici fragili, a tratti agitati/aggressivi e bisognosi di un supporto specialistico importante, assolutamente non fornito a sufficienza dalla Struttura attraverso il suo servizio psicologico”.
Le condizioni igienico-sanitarie, viene evidenziato nel rapporto, rimangono inumane e degradanti: in particolare, è stata sottolineata la pessima condizione dei lavabi con acqua non potabile. “La cosa sarebbe stata risolta con un sopralluogo del Genio Civile”, scrive De Falco, “che avrebbe sgomberato ogni dubbio. La certificazione? Manco a dirlo, non è stata reperita al momento, né a fine giornata, né è stata trasmessa dopo, sebbene richiesta e sollecitata”. I bagni riversano in condizioni pietose (con rubinetti che funzionano poco – “a volte danno acqua, a volte no, a volte la danno bollente, a volte la danno gelida”, viene evidenziato nel rapporto) così come le celle in cui sono costrette a dormire le persone trattenute. “Le reti dei letti sono di ferro rigido e i materassi sono di gommapiuma, alti circa 10 centimetri, visibilmente scomodi e consumati. Federe e lenzuola, usa e getta, vengono in rilievo a pieno titolo nel capitolo del taglio alle spese: nessuno le adopera perché di materiale sintetico, a metà tra stoffa e carta, e “fanno l’elettricità”. Visibilmente sono così sottili e di materiale così scadente da non essere minimamente idonee ad assurgere al compito che dovrebbero svolgere”.
Violato anche il diritto all’assistenza legale che continua a rimanere un miraggio per le persone trattenute. Infatti, si legge nel rapporto, la metà delle persone trattenute è priva di difesa legale, spesso senza esserne consapevoli. “[…] Molti dei trattenuti non sono stati in grado di rappresentare la prospettiva di durata del proprio trattenimento; alcuni non avevano colto il motivo per il quale si trovavano lì. Ciò accadeva soprattutto alle persone che, scarcerate da strutture penitenziarie a fine pena, erano state tradotte seduta stante nel Centro, per un trattenimento supplementare tanto inaspettato quanto privo di senso ai loro occhi, specie per chi era titolare di permesso di soggiorno per lavoro prima dell’ingresso in carcere, poi caducato o scaduto durante la carcerazione stessa a causa dell’inevitabile interruzione del rapporto di lavoro”. Inoltre, viene evidenziato nel rapporto, su 30 intervistati, 7 hanno affermato di non avere un avvocato per motivi economici o per difficoltà a reperirne uno.
In conclusione, secondo gli estensori del rapporto, le condizioni all’interno del Cpr di Milano rimangono pessime: nonostante le denunce e le segnalazioni ai massimi vertici sullo stato del Centro, si ripropongono la medesima situazione di abbandono dei trattenuti anche dal punto di vista sanitario (sia da parte della sanità pubblica, sia dallo stesso privato incaricato) e il taglio indiscriminato di tutti i servizi. Come scrive il Senatore De Falco, i Cpr rappresentano “[…]il rifiuto del diverso e dello straniero, la criminalizzazione delle migrazioni e di chi vi presta solidarietà, il razzismo istituzionale, il mancato riconoscimento della persona umana e dei suoi diritti in quanto tale”. Occorre un cambiamento di rotta.
Foto copertina via Twitter/The Submarine