Plan Condor: il processo raccontato dai protagonisti

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Il 17 gennaio scorso veniva pronunciata dai giudici della Terza corte d’assise di Roma, la sentenza del Processo Condor. La prima di condanna in Europa al Plan Condor e la prima al mondo che ha portato a una condanna all’ergastolo per omicidio per la presa della Moneda, il giorno del Golpe cileno, l’11 settembre del 1973.

Restituire l’importanza e il rilievo storico del Processo Condor: questo il senso dell’incontro svoltosi il 15 febbraio, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tre, voluto da CILD insieme a Progetto Diritti e Antigone.

L’incontro, moderato dal giornalista e scrittore Alessandro Leogrande, è stato un’occasione di studio, dal momento che, come ha ricordato il direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, Giovanni Serges, nella vicenda che sfocia in questa sentenza ci sono profili attinenti il diritto costituzionale, il diritto penale, il rapporto fra il diritto penale italiano e le convenzioni internazionali, il diritto processuale, il diritto internazionale e le grandi problematiche relative a un processo celebrato a così tanti anni di distanza, soprattutto rispetto al sistema probatorio.

Una sentenza che interroga non solo i giuristi, ma anche le associazioni e le ONG che si occupano di diritti umani sul ruolo che possono avere nella ricostruzione della memoria e della verità storica. Inoltre è un percorso, quello che ha portato a questa sentenza, in cui c’è un elemento umano molto importante, perché ci sono delle storie sconosciute che il processo ha portato alla luce, storie dimenticate di violenza, di barbarie, di eroismo.

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Il Plan Condor è esistito

Secondo Arturo Salerni, avvocato di Progetto Diritti che ha curato molte delle parti civili, e che ha introdotto il dibattito, il fatto stesso di aver potuto celebrare questo processo è un successo (noi ne abbiamo ripercorso le tappe storiche). La sentenza, con i suoi otto ergastoli, ci dice che il Plan Condor è esistito e dietro il sangue e i racconti di barbarie che hanno riempito il processo ci sono delle responsabilità di carattere generale. Non era affatto pacifico affermarlo. In LatinoAmerica, e non solo, ha un grosso peso politico la tesi negazionista, insieme a un’altra tesi che sostiene che in fondo in quegli anni (’70-’80) la guerra era combattuta da ambo le parti, negando in tal modo il peso dell’organizzazione del terrorismo di stato.

Il processo Condor ha avuto una portata storica ma non è stato un Processo alla storia. Ha tenuto a ribadirlo la pm Tiziana Cugini: è stato piuttosto un procedimento che si è svolto secondo le regole del processo penale per cercare i responsabili di una pluralità di omicidi. La particolarità della tematica ha influenzato soprattutto le scelte probatorie: non a caso sono stati assunti a testimoni degli storici, archivisti che hanno utilizzato il loro bagaglio di conoscenza con tecniche investigative proprie della ricostruzione documentale. La procura ha ricostruito gli elementi sintomatici di quest’organizzazione internazionale volta all’eliminazione sistematica dei dissidenti: le stesse modalità d’intervento contro il dissidente, il ricorso da parte delle dittature al sequestro di persona, la paragonabilità delle tecniche di tortura, come provato dai documenti circa l’esistenza di scuole di preparazione per queste tecniche.

Ma come hanno ricordato tutti i presenti, questo è stato anche un Processo in cui abbiamo sperimentato un’assenza grave nel nostro codice penale: quella del reato di tortura. Nessuna delle figure di reato previste dal nostro ordinamento copre quello che abbiamo ascoltato nelle deposizioni testimoniali dei parenti delle vittime.

Verità storica e processuale

La sentenza del 17 gennaio ci pone anche, con le sue diciannove assoluzioni, di fronte a un importantissimo dilemma: la non sovrapponibilità di Verità Storica e Verità Processuale. Di fronte all’assoluzione del generale Troccoli, unico imputato non contumace perché residente in Italia (si è rifugiato qui proprio per sfuggire alla giustizia del suo Paese), all’epoca Capo dell’S2 del Fusna, il braccio operativo dell’intelligence uruguaiana, ci si domanda: ma allora a cosa serve il diritto? Troccoli fra l’altro nel suo libro “L’ira del leviatano” compie un’apologia della tortura, ammettendo di aver trattato in maniera disumana i detenuti, di averli sequestrati. Per certi versi un reo confesso, ma, come ha largamente argomentato l’avvocato Ventrella, che ha sostenuto l’interesse di parte civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, un conto è la verità storica, un conto è il Diritto.

D’altra parte le condanne all’ergastolo che fanno di questa una sentenza storica, rappresentano una virtuosa osmosi tra verità storica e processo penale. Osmosi che probabilmente, sempre secondo Ventrella, si è resa possibile grazie al contributo di archivisti ed esperti che hanno fornito documenti declassificati della CIA e del dipartimento di Stato Americano.

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Procura, società civile e istituzioni dei paesi sud americani

Jorge Ithurburu, presidente dell’associazione 24 marzo, ha ripercorso le prime tappe di questo lungo percorso giudiziario sottolineando la proficua collaborazione fra Procura, Avvocatura dello Stato e Parti civili, con l’ammissione per esempio al ruolo di testimoni di molte persone suggerite dalle associazioni dei familiari dei desaparecidos: la collaborazione delle Ambasciate che spesso hanno accompagnato i testimoni e coperto le spese dei viaggi, la produzione di un archivio di materiali, cartacei, audio e video conservato presso la Fondazione Basso, il lavoro svolto pro bono da quindici avvocati in sessantatré udienze dibattimentali.

La console boliviana Eva Chuquimia Mamani ha letto un messaggio di Nila Heredia Stamponi, presidente dell’Associazione dei familiari di detenuti, scomparsi e martiri per la liberazione nazionale (Asofamd) e compagna di Luis Stamponi, di origini marchigiane, dirigente del  Partido Revolucionario de los Trabajadores de Bolivia e amico di Che Guevara.

Per la sua desaparicion sono stati condannati i boliviani Garcia Meza e Arce Gomez: sanzione di enorme rilievo perché ha incoraggiato in Bolivia l’istituzione di una Commissione per la “Verdad” che lavorerà per far luce sugli anni terribili della dittatura.

Rodrigo Olsen, rappresentante dell’ambasciata cilena, ha ricordato che sarebbero stati circa 3200 i cittadini cileni giustiziati da agenti dello stato e di questi 1192 continuano a essere desaparecidos. Per questo le vicende su cui il Tribunale di Roma si è pronunciato, costituiscono una ferita aperta e insanabile per la società cilena.

“L’obiettivo delle nostre politiche pubbliche – ha concluso Olsen – oggi è quello di ricostruire la memoria e tornare a incontrarci con una verità che si proietti verso la costruzione di una cultura del rispetto della dignità delle persone, della tolleranza, delle diversità”.

Chi viola i diritti umani non deve restare impunito

Conoscenza, lotta per i diritti umani, giustizia e politica: queste le quattro parole chiave con cui il Prof. Marco Ruotolo, Docente di Diritto Costituzionale a Roma Tre, ha concluso l’incontro. I fatti del Piano Condor vanno conosciuti anche ai fini di un rinnovamento nella lotta per i diritti umani. Affermare i diritti umani non significa soltanto ricostruire verità processuali, significa sostenere una linea politica: i diritti umani non possono essere violati e chi li viola non può restare impunito.

“Il segreto della giustizia sta in un sempre maggiore umanità – ha concluso Ruotolo, citando Calamandrei – e in una sempre maggiore vicinanza umana tra avvocati e giudici nella lotta contro il dolore”.

Mary Cortese è addetto stampa di Progetto Diritti.